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2 noviembre 2012 5 02 /11 /noviembre /2012 21:18

 

 

Dalla stazione degli autobús, sino alle vie del centro  e tutte le stradine che attraversavano il pittoresco paese di Puerto Padre, era tutto un luogo d’un mondo a parte e d’altri tempi. 

Mi ci portó il mio amico Peter, che in realtá si chiamava Pedro Miguel, peró lo preferivo in inglese, giá ch’era un ragazzetto indomabile e diceva sempre che sicuramente era nato negli Stati Uniti.  La casa di due piani di suo nonno, con pórtico fiancheggiato da grandi colonne, dava un tocco diverso al sovraffollamento típico degli agglomerati urbani, come la maggior parte delle costruzioni di quel posto cosí variegato di stili austeri.  La sorella di Peter aveva un’amica intima nel paese. Non vi era nulla come contare su amici che avessero sorelle con amiche cosí bone.

Negli anni vissuti nell’isola, non ero mai stato in nessun altro posto dove mi sentivo cosí ben integrato come mi sentii in Puerto Padre.  Lá, ero il forestiero come alla Habana, peró non ero lo straniero, ma piuttosto l’amico habanero di Peter, che fossi argentino era totalmente secondario e imprescindibile, eccetto per i vecchi, che rivelavano le proprie nostalgie dei tempi migliori con una stupefacente sinceritá.

In quei giorni, nel suo paesello, dove ogni cosa sembrava impregnata, piu o meno, di magia, Peter mi fece partecipe di qualcosa di molto piu profondo e complesso che la semplice amicizia, mi aprí la scatola dei segreti familiari.

 Secondo lui, quel luogo era conosciuto per i suoi fantasmi e racconti sopranaturali e di difficile spiegazione lógica. Un pomeriggio, mentre tornavamo dalla spiaggia dove eravamo stati a bere birra, giocando a pallavolo e scherzando, vidi lungo il viale del ritorno, sulle fiancate, una specie di specchio d’acqua argéntea. Eravamo seduti nella parte posteriore di un camión che trasportava l’impianto  della música, e Peter e i suoi amici mi mostravano l’orizzonte dicendomi: Hai visto? A quest’ora tutto é uno specchio!

Il primo giorno Peter mi disse, passando vicino ad una elegante casa di legno di due piani, che lí viveva un fantasma, una delle vittime ch’era stato ucciso in quella casa, da un amante troppo impaziente, e che non era disposto ad abbandonare questa dimensione.  Per lo meno, non del tutto, e per testimoniarlo, ogni tanto appariva in mezzo alla via con l’aspetto che aveva il giorno della sua morte.

Pensai che non dovevo rispondere con una risata fragorosa a cotanta fiducia nei miei confronti,  feci l’educato assentendo. Solamente quando rimasi solo con il mio amico volli specificare: Peter, tu sai che io non credo a quelle cose.

L’ultimo giorno prima di tornare alla Habana, fummo tutti e quattro ad una festa che si svolgeva sul lungomare. Ballammo, bevemmo birra,  e riuscii persino ad accompagnarmi all’amica della sorella di Peter… ma dopo pochi baci furtivi in spiaggia, ci chiamarono a squarciagola perche il camión che ci avrebbe dovuto riportare a casa, partiva, e quindi ci affrettammo a salirci sopra. Ma prima che il motore si mettesse in marcia, vedemmo due signori, uno alto e magro ed uno grasso e piu basso, coinvolti in un alterco típico da fine di festa alcolica. Peró il grassone, che si imponeva sempre in quanto a insulti, non era disposto ad andare a dormire senza aggiungere un po di pepe alla disputa, e sferró un primo pugno in faccia all’altro, poi si gettó su di lui coprendolo di pugni e calci. Il magro si allontanó un po di metri e quando sembrava che la discussione fosse terminata, ritornó con una spranga di ferro in mano, il grasso cercó di schivarlo, peró l’agilitá che mostró il magro risultó efficace e gli piantó l’affilato stiletto varie volte nello stomaco. Gli astanti si lanciarono a separare i due rivali, arrivando un po tardi. Alcuni portarono il grassone all’ospedale, ed altri scomparvero  con il magro su per un vicolo.

La polizia arrivó solamente quando non erano rimasti che Peter, alcuni amici della Band musicale, sua sorella, l’amica della sorella ed io, e ci domandarono se avevamo visto qualcosa durante l’accaduto. Io ero tuttavía sconvolto e preferí non spifferare nulla.  Ci ordinarono di andar via da lí e durante il viaggio di ritorno a casa viaggiammo in silenzio. Arrivati a casa del nonno di Peter, mangiai qualcosa, ed anche fosse gia tarda notte, uscii a contaminare l’aria con alcune sigarette di tabacco forte.

E allora vidi, sotto il lampione che si trovava di fronte alla casa di legno degli impiccati, un uomo alto, magro, con camicia guayabera chiara e cappello, che sembrava mi stesse osservando, anche se da quella distanza non riuscivo a scorgere gli occhi, gli dissi: - Ehí! Buona notte! -  abbozzó un sorriso, giró sui suoi tacchi e rientró in casa, senza fare il benché minimo rumore.

Il giorno dopo, prima di partire, ci informarono che il grassone rimaneva ricoverato all’ospedale, sotto osservazione, e che avevano arrestato il responsabile delle pugnalate, il quale peró giurava su tutti i suoi morti di non ricordare assolutamente nulla di ció per cui veniva accusato, e che giammai aveva usato un coltello contro qualcuno.  Chi lo aveva visto usare la spranga, dicevano che effettivamente, sino a quel momento, era stato un essere molto pacifico, a uno che gli piaceva il rum, la música e le donne, peró non le risse.

Al salutarci, il nonno di Peter mi abbracció fortissimo, mi ricordó quello che mi aveva detto varie volte in quei giorni, che ero un bravo ragazzo, come mio zio, peró che Fidel era un uomo cattivo, che aveva distrutto il Paese, e pure a mio zio. Non ero preparato per ascoltare quel tipo di cose, ma attrasse la  mia attenzione con che sicurezza lo diceva.

Gli commentai che la notte anteriore ero uscito a prendere una boccata d’aria fresca, dopo aver presenziato ad una simile rissa, e gli confessai che rimasi perturbato dall’immagine di quell’elegante uomo che entró nella casa degli impiccati. Allora mi disse che il grassone della rissa era il fratello di quello che avava causato la tragedia in quella casa.

Puerto Padre risultó enigmático ai miei occhi, come lo presentavano i suoi adulatori piu innamorati,  per la via argentata che va verso il mare, per il fantasma soddisfatto, o per la tranquillitá e la scarsa prudenza nel parlare dei peggiori tempi che ci toccava vivere paragonati a quelli di prima.

Come dicevano gli amici del nonno di Peter: i tempi dove si potevano comprare nei negozi otto tipi di riso differenti, e senza pietruzze e ne punteruoli.

I bei tempi.

 

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27 octubre 2012 6 27 /10 /octubre /2012 07:51

 

 

 ¿Se puede denominar ecologista a un náufrago que se haya visto obligado a vivir durante unos años en una isla deshabitada? Sí, claro que sí, lo que no se puede asegurar es que le quepa mérito por ello.

Fidel experimentó una transformación desde la caída de la Unión Soviética y fin de las aventuras bélicas para apoyar revueltas en el resto del Tercer Mundo, por un sentido peculiar del internacionalismo que incluía un nada nimio cobro en especies allí donde abundaba el diamante, allí donde abundaba el petróleo, o de sometimiento más apoyo incondicional allí donde ni el pasto diese algún beneficio. Primero, se convirtió en pacifista de repente, de la noche a la mañana, luego recuperó su fe, y al final parece ser que quiere darnos a entender que es un paladín de la ecología, que es algo que le quita el sueño. Es un maestro, en los combates cuerpo a cuerpo no tiene rival porque, cuando menos se lo espera el contrincante, él aparece por detrás por el costado o por debajo; no es que no pierda, está plagado de derrotas, pero las disfraza de tal manera que las convierte en éxitos nacidos en la voluntad.

Cuando Cuba debió importar un millón de bicicletas de China a causa de una extrema crisis causada por el desmoronamiento de la URSS y la espantada de toda Europa al mal llamado comunismo, sumado a la ineptitud criolla para manejar la economía, Fidel expresó en la Plaza de la Revolución que Cuba había dado un paso en su desarrollo, que contaminaría menos el medio ambiente, y con un giro de muñeca impresionante terminó el discurso comparando la conciencia del cubano con la del holandés. Por lo de las bicis. Fidel el católico, el pacifista y el ecológico tiene pensado permanecer en su humilde vida por todo el tiempo que lo permitan los dispendios de gastos en su salud y la tecnología. Ahora sí que todos nos creemos que dejó de fumar sus lanceros de Cohiba.

Desde el  descubrimiento  del tabaco y del hábito de fumarlos, los puros habanos fueron un signo de distinción ya en las colonias o en la Metrópolis, y de ahí en más una seña de identidad  de las personas más acaudaladas y poderosas del planeta, caso las caricaturas de Tío Sam, o el prototipo del millonario.

Si  la Revolución Socialista había estigmatizado a toda la burguesía, por contravenir los fines del nuevo Estado, y se les había conminado a abandonar el territorio nacional con lo puesto, ¿por qué los apellidos  Partagás & H. Upmann, o las casas Regalier el cuño y Romeo y Julieta, pasaban a ser símbolos identitarios de la Revolución,fetiches comunistas del Caribe? la caracterización del enemigo capitalista norteamericano que más se usaba en la URSS siempre iba acompañada de un puro tabaco, cosa que a partir del triunfo de la Revolución cubana sufrió algunos retoques, ya que en la URSS era muy conocida la imagen de Fidel con el tabaco en la boca.

Los rusos besaban en la boca a sus visitantes. En las calles de La Habana se comentaba que cuando Fidel se encontraba de manera oficial o extraoficialmente conLeonid Ilich Brezhniev, iba con un puro largo y grueso encendido y entre los labios, para obligar al premier ruso a dar por bueno un sonoro abrazo de carácter latino, y evitar un innecesario intercambio de babas internacionalistas.

Un tabaco bien torcido, de la misma zona de Vuelta Abajo de Pinar del Río, el mismo que había simbolizado todo lo reprobable para un buen revolucionario, de un día a otro pasó a ser incluso símbolo de rebeldía anti imperialista, tanto para los turistas mientras paseaban por La Habana de brazos de alguna novísima amiga cercana, como para los dirigentes del gobierno, con un gorro verde olivo y un Montecristo entre dientes, y con dos amigas íntimas, una en cada brazo.

Los hombres del pueblo trabajador podían disfrutar también del humo de ciertos sucedáneos, unos cigarrillos y brevas mucho más humildes en calidad y confección, que al poco de haber sido encendidos se abrían en la punta como un plumero, apagándose súbitamente,  acompañados del cariño revolucionario de su miliciana esposa, la compañera del bigotico.

La diferencia entre la caricatura del millonario con el bombín en la cabeza y el habano en la boca, y la efigie de un jefe revolucionario con el mismo puro y una gorra verde, era sólo una cuestión de gustos en sombreros.


Aunque había alguna más: el ritmo de la amiga cubana bailando salsa es incomparable. 

 

 

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15 octubre 2012 1 15 /10 /octubre /2012 14:18

 

 

Lo más probable es que nadie tuviese prevista la avalancha de gente que se presentó esos días en las oficinas correspondientes para abandonar el país, llegaban a Mariel de todas partes del país, en el edificio contiguo al mío en Alamar, habitaba una familia de vecinos a la que llamábamos los Michi Michi, eran de la provincia de Las Villas, y habían esperado a que llegaran procedente de su tierra a toda la familia, para entrar a la embajada del Perú, en los días en que se abrió esa opción, pero dadas las demoras de los servicios de transportes interprovinciales, los familiares se presentaron demasiado tarde, cuando ya se había prohibido la entrada al recinto.

Los Michi Michi sacaron un número de lista en espera para poder volver a su provincia en autobús, cosa que se producía con menor inmediatez de la deseada,  de la esperada y casi, de la humanamente soportable. Aún estaban en el departamento de Alamar, amuchados, resolviendo como podían para comer, ya que no tenían su libreta de abastecimiento en La Habana, cuando se abrió el grifo de la emigración sexualmente subversiva en el Mariel.

De las razones eficaces para ser expatriado a los Estados Unidos, las únicas sobre las cuales las sospechas de fraude no podían ser resueltas de ninguna manera eran la prostitución y la homosexualidad; si alguien declaraba ser delincuente, debía poseer un prontuario, si decía ser vago habitual, debía estar registrado por la ley del vago, era fácilmente comprobable saber hasta cuando había trabajado. Declararse puta o pájaro era la mejor forma de acceso a una vida plena de futuro e ilusiones nuevas.

Aquellos guajiros encantadores, hombres y mujeres rudos de campo, llenos de niños alrededor, declarando en la comisaría, ellas, con sus facciones endurecidas por el Sol, pero suavizadas por la ingenuidad campesina, aduciendo que se ganaban la vida como meretrices entre los surcos de malangas, y ellos, con aquellas manos como guantes de cátcher,  y las cicatrices en sus brazos, asegurando que en la noche se calzaban medias pantys y ligueros y se transformaban en delicadas ninfas.

La Habana de los Michi Michi de mi barrio, de la pedrada indiscriminada, del almizcle en la marcha del pueblo descorazonado y del estudio en la casa de Miramar de mi abuelo, estiraba la lengua para alcanzar con el último suspiro, las gotas de ron de una vieja botella, de un naufragio de aire familiar.

Una tarde que estábamos tocando una rumba en el muro del círculo infantil, al frente del edificio, se acercó una comitiva formada por vecinos de los edificios de al lado, acudían al nuestro a informarle al presidente del CDR que los del cuarto piso, una familia de cuatro personas, tenían pedida la salida para Estados Unidos y que de un momento a otro llegarían, así tenían tiempo de prepararles el recibimiento. 

A las dos horas llegó un patrullero conduciendo a los cuatro vecinos de la cuarta planta, él era marinero, la esposa ama de casa, el niño y la niña eran pioneros, como todos los críos. Ni bien cerró la puerta el coche de la policía y empezaron a caminar por el pasillo hasta su escalera, salió un grupo de militantes que los estaban esperando detrás de una escalera, y comenzaron a gritarles  a voz en cuello, todo tipo de insultos, fundamentalmente, escoria, homosexuales, prostitutas, y gusanos, se gritaba más que nunca : Pim Pom Fuera, Abajo la gusanera!!, alternándolo con : ¡Fidel, seguro, al gusano dale duro!!.  Me bajé del muro , me acerqué y pude ver la cara de miedo en los rostros de nuestros vecinos, de los niños que hasta el día anterior jugaban allí mismo protegidos por ese mismo CDR, los gritos iban en aumento  en la medida que se acercaban a la escalera, cuando ya estaban cerca la muchedumbre comenzó a asestarle golpes, los primeros con las manos abiertas, a modo de bofetadas, sobre la cara , la nuca , la espalda, y entonces el bravo revolucionario policía que vivía en nuestro edificio, le dio en la cabeza con una porra de goma al hombre, la mujer no aguantó más y  empezó a gritar con alaridos, los niños nos miraban, con cara de aterrorizados ,  le agarré la mano a la niña y no dejé de mirarla diciéndole que no pasaba nada, que se calmase, y en eso Jesús, uno de los muchachos mayores, que medía más de seis pies, y había estado en todo tipo de reformatorios, se bajó del murito y se acercó a la multitud acalorada y violenta, y les dijo con voz tranquila y profunda, pero determinada: ¡Caballero dejen el abuso,  esa gente  tienen niños!. Y de un hábil salto se interpuso entre el teniente de policía, y el matrimonio, momento que los cuatro aprovecharon para subir raudos las escaleras, mientras continuaba la algarabía desde abajo.  Sólo entonces solté la mano de la niña que aún estaba ataviada con el uniforme de pionera, con el que cada mañana debía jurar por el comunismo, que sería como mi tío.

La de Jesús fue la única voz discordante que escuché en todos aquellos días de barbarie en La Habana, y muchos  decían que era un delincuente desalmado, pero la verdad, que aunque no era un muchacho modélico, nunca cometió un abuso y lo recuerdo con respeto porque sé lo que aquello implicaba en esos días. Era el más alto y el más azabache de todos los de su familia,  y también al que nunca vi bailar, decía que él solo bailaba en los plantes.

 Durante cuatro días, permanecieron con las ventanas y las puertas del balcón cerradas, ya que los vecinos les arrojaban huevos desde abajo en señal de repudio. El día que por fin se presentó la patrulla que los iba a recoger para depositarlos en la borda del yate, que los llevaría a la otra orilla, el agente, yendo unos pasos por delante de ellos,  permitió que la misma muchedumbre se cebara dándoles los últimos golpes y empapándolos con los últimos salivazos, a modo de despedida de un vecindario con los que había existido, convivencia y camaradería, rotos, únicamente por la decisión subversiva, de procurarse el sustento  en otro país.

Por doquier se sucedían las golpizas  a los vecinos, o a los profesionales en los centros de trabajo. De mi escuela sacaron a dos profesores que tenían pedida la salida, a golpes, escupidas, e insultos y los acompañaron con esa comparsa hasta la parada de la guagua.

Tengo impregnada en la memoria  la mirada del profesor de Física, el gesto de su cara con cada bofetada, y el remolino del pelo lacio, con cada golpe en la nuca, las escupidas en la cara. Esto se lo hacían a hombres tranquilos, no violentos,  pero había un obrero de la fundición, que cuando fue abordado por estas hordas de embullo,  sacó un machete, miró de frente a los exaltados y dijo, ¡al primero que me toque me lo echo al pico!

Hubo incidentes serios en Alamar, algunos heridos por las hordas y otros que después de ser escupidos y abofeteados, en la soledad de sus departamentos no aguantaron el recuerdo del bochorno transcurrido y salían a la calle con un cuchillo a clavárselo al primero de los ofensores que viesen. 

La cantidad de dramas y tragedias de este y otro tipo, que se dieron cita en los días del Mariel, solo se pueden contabilizar con la imaginación o la especulación, ya que en Cuba además de no existir estadísticas libres en este sentido, tampoco existía prensa policiaca, ni siquiera oficial, que informase sobre los episodios delictivos ocurridos en la comunidad.  Lo que no puede negar todo el que vivió esos años, es que todo el tiempo , en todos los barrios, con la aquiescencia de las autoridades, esas golpizas, humillaciones y abusos, eran tan generalizados que parecían una catarsis colectiva, como si castigaran al que se atrevió a hacer lo que colectivamente en el inconsciente,  deseaban casi todos: pirarse al norte.

 

 

Los Michi Michi.
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12 agosto 2012 7 12 /08 /agosto /2012 02:24

 

 

La última pregunta- me espetó el entrevistador- ¿ Cómo son las relaciones actuales de Cuba con Estados Unidos?– Perdón, pero no me encuentro capacitado para responder eso- fue mi respuesta y entonces el periodista pasó a otra última pregunta que guardaba en la recámara.

Una vez transcurridos unos minutos después de terminada la entrevista me quedé pensando en como habría podido aprovechar la cuestión para comentar aspectos de mi interés, acerca de los que puedo opinar sintiendome a gusto. Pero esto me ocurre en la vida casi con todo lo que expreso por medio de la voz. Si se me permitiese echar la cinta atrás indefectiblemente siempre cambiaría algo, aunque fuese solo una coma, quizás con la salvada excepción de esos exabruptos que encajan perfectamente en las situaciones. Las maldiciones. Tal vez esta sea una de las razones por las que prefiero manifestar mis pensamientos a través de la escritura, la otra es no escucharme en mi tono ligeramente nasal.

Pensé que tal vez no pueda hablar de cifras y datos respecto de la actualidad de los convenios, quizás no pueda dar fe de las transacciones y negociados entre estos dos países más acostumbrados a las hostilidades que a la convivencia. Quizás no pueda comentar el modo exacto en que se están comenzando a fraguar las capitulaciones de los postulados, de los juramentos, del absurdo, de la crueldad  y de la tozudez en ambas orillas a lo largo de más de medio siglo; pero sí que me habría gustado pasear mis apetencias e inquietudes en el viscoso terreno de las suposiciones.

Me hubiese gustado dirigirme a los cubanos que desde hace un tiempo más que prudente, vienen depositando su confianza en que tarde o temprano  la democracia occidental terminará por darle un merecido a los déspotas que los enviaron al exilio, a las prisiones o al ostracismo, y advertirles que se fuesen haciendo a la idea de que posiblemente los gobiernos de  las potencias capitalistas entrasen en una creciente amnesia paulatina, en la medida que también con la misma vertiginosidad atacase a la memoria de la dirigencia cubana, compuesta de los mismos que combatieron a sangre y fuego toda proximidad al capitalismo, a la democracia, a la sociedad de consumo ( exclusivamente para los representantes del vulgo, mientras en las familias de la dirigencia esas estrictas normas hallaban cierta relajación).  Solo por preservar la salud sería conveniente que tuviesen en cuenta al menos que existe la posibilidad, ya no tan remota, de que al quitar las barreras que al gran capital transnacional le ocasionaba severo malestar, al tiempo se diluyan los rencores bajo el peso del mercado, y comience un repentino romance entre los gobiernos occidentales y los mismos tiranos de siempre de la isla, sin cambiar siquiera la fachada, sin arrojar el látigo al abismo, sin pedir perdón por los desmanes, por los crímenes, por el asfixiante abuso sobre los abusados.

Una vez que puedan instalarse sin trabas las transnacionales expropiadas en el pasado o sus vástagos ¿ para qué persistir en el enfrentamiento?. Se dirán unos a los otros: “Negocios son negocios, no había nada personal”, harán borrón y cuenta nueva.  En definitiva ¿ quién está más apto para llevar los asuntos de un ministerio que alguien que ya tiene en su agenda los datos de todos sus homónimos en el mundo? Y por otra parte ¿ que utilidad podrán tener todos esos bregados luchadores por un mundo mejor, por justicia, por equidad e igualdad de oportunidades, frente a un manojo de pusilánimes de escasísima vergüenza que además de contar con la ventaja de una moral absolutamente moldeable, tienen también las riendas de las fuerzas represivas?. Por las dudas.

Yo me curaría en salud y recordaría por unos instantes quienes fueron los que comandaron los cambios  nada más ni nada menos que en la Unión Soviética, desde un Gorbachov y un Yeltsin , ambos dirigentes del PCUS en sus regiones de nacimiento y cómplices de cuanta tropelía se cometió bajo sus mandos cuando no responsables directos, hasta el ex agente del KGB Putin,  sin embargo cambios que resultaron ises del  campo socialistaue de ron los que comandaron losi cambios cia, por equidad e igualdad d eoportunidades una vez que de abruptos y radicales,  sin el más mínimo rastro de alguna utopía socializadora de las riquezas, ni siquiera de minimas garantías para los ex adorados proletarios. Desde occidente solo se les exigió que abandonasen sus posiciones políticas, no sus cargos. 

Sucede un tanto de lo mismo en Cuba.  Esa especie de obsecuentes  que al auto proclamarse comunistas cuentan con prebendas y privilegios frente a quienes  piensan de otro modo o simplemente presentan algún grado de pudor, y que han conformado en la práctica la totalidad de los burócratas en el poder de los países socialistas, habrán sido cualquier cosa menos comunistas y a su vez son quienes más daño han ocasionado a la percepción universal de dicho disparate de sociedad dictatorial y por ende imposiblemente igualitaria, convenientemente disfrazada de clímax, de no va más , de súmmum de las sociedades resumido en el principio marxista de: “ a cada cual según su necesidad”.

Cada amordazado, cada alcoholizado por la paranoia, cada reprimido, cada preso, cada disidente, cada rockero, cada espíritu libre aprisionado, cada exiliado, que pretenda que al cabo del gobierno de los gerontes hermanos, una vez extintos lo actuales parámetros socio económicos de gobierno de la isla, tendrán acceso a dirigir la construcción de una nueva sociedad, no olviden del todo el arte de resistencia y la persistencia, ni distraigan en la carretera sus petates de eternos opositores, tal vez conserven su razón de ser.

Podemos observar como alfiles, caballos y torres de los aparatos del establishment cubano ya se están aprovisionando a tiempo de pequeñas anécdotas de diferencias con la dirigencia, asegurándose una parcelita paradisidente de cara al experimento venidero. Ya pululan conversos coroneles, ministros, cancilleres, todo tipo de lacra que en su momento se emplearon con dureza contra  quienes escuchaban en el malecón a Grand Funk Railroad aplicandoles una mancha en el expediente acumulativo que les acomapañaría de por vida bajo la acusación de "diversionismo ideológico" o de "desafecto" por escuchar a la recien hoy legalizada Celia Cruz después de cincuenta años, quien en vida no pudo regresar a su país y cuyas canciones prohibieron ya que al parecer, su "Bemba Colorá" incitaba a subvertir el orden, o bien a quien deseaba leer “Paradiso” de Lezama Lima, literatura hippie o consumir cultura beat y ya con extrema contundencia a quien se le ocurriese exigir su prometida porción de libertad.

De entre aquellos que oí decir a viva voz para ser  escuchados en los cuatro rincones: ¡Socialismo o muerte!, dudo que uno solo esté dispuesto a morir por causa alguna que no sea el empacho de víveres, y menos aún que alguna vez, ni siquiera en sus peores pesadillas hayan hecho el más mínimo gesto de socializar algo propio.

Entiendaseme bien por favor, nada más distante que pretender que esas almas repletas de un inquietante vacío sólo habitado por la pusilanimidad más abyecta, aguarden fusil en mano, ateridos y aterrados  en la noche de la Sierra de El Escambray, el intercambio de disparos que los ubique en el único extremo posible hoy de su tan cacareado dilema; pero que al menos tengan el decoro de dar un paso al costado y sólo levantar la mano cuando sea el turno de los arrepentimientos y las excusas.

Me temo incluso que llegará el momento, en que para ciertos organismos de poder occidentales que alentan desde afuera a la disidencia, personas como Payá podrán pasar a representar una rémora, un incómodo testigo de la carencia de toda ética.

Y aunque  por supuesto todo esto deba permanecer en cuarentena al tratarse de una premonición elaborada con ingredientes de mi propia huerta, solo por si en este caso la excepción de la regla me consagrara con el don del acierto, no estaría de más que quienes han sido oprimidos  por la tiranía se hiciesen a la idea de una prolongada peregrinación en las antípodas. O como minimo a tener que compartir cama con los alacranes.

O quizás no haya dicho nada de esto cuando el periodista  me hizo lo que iría a ser la pregunta del estribo, porque aún existe una tercera  razón por la que prefiero escribir lo que pienso en lugar de decirlo, es que hablando puedo llegar a ser tan vehemente o por el contrario tan cínico que de ese modo cobran varios enteros mis posibilidades de acertar en los presagios.

 

 

 

 

 

 

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24 julio 2012 2 24 /07 /julio /2012 01:39

 

 

Acaso lo que más me ha impresionado acerca de la muerte del disidente cubano Oswaldo Paya, no sea ni el enorme semillero de posibilidades de fantasear con que haya sido uno de esos accidentes  inducidos por la buenaventura infinita para algunos, ni tampoco la casualidad de que los fallecidos fuesen los dos molestos opositores  al  despotismo estructural.
Lo que más me ha llamado poderosamente la atención, es la portada del periódico Granma, que no hizo ni una sola mención al accidente y solo en su interior una pequeña esquela que ni siquiera le dedica el honor de colocar su nombre en el titulo ni hacer mención de su actividad.
Ni siquiera por tratarse de la persona que logró presentar las requeridas  firmas para promover el Proyecto Varela que se proponía abrir el debate sobre una transición democrática, rechazado por el  sempiterno gobierno, aportando el manido argumento de que era una estratagema de los Estados Unidos para derrocar a la dictadura del proletariado.
Esa falta absoluta de respeto, de reconocimiento caballeresco de un rival digno, que probó su valor frente a un rebaño de corderos serviles, cuando se trataba de la relación con el poder y de una manada de lobos feroces cuando se giraban hacia la población, es quizás el mayor llamado de adeptos a su causa por la indignación que despierta tal desaire, error en el que incurren una y otra vez los represores de toda latitud e ideología.   

Más allá de toda consideración, de cualquier diferencia de criterio con las ideas de Payá, lo que no debe ser pasado por alto es el enorme valor que un ser humano tenía que dedicarle al asunto en 2002, para plantar cara con semejante disparidad de fuerzas a un poder que había mostrado tolerancia cero con cualquier grado de oposición, por mínima que fuese. 
Lo que no pueden negarle ni sus más acérrimos opositores, ni sus críticos mas enconados es la perseverancia en los principios más humanistas, de un pacifismo proverbial, llevando esta conducta a niveles profundamente cristianos. Predicando con el ejemplo. No se lo puede acusar de ningún atentado por leve que fuese, ni siquiera en respuesta a los tantos padecidos por él y sus acólitos. Este aspecto distintivo es donde radicaban las excepcionales condiciones éticas de Payá, fue tanto el que lo convertió en un ser que generaba controversia entre los extremistas de toda índole, así como será el rasgo más dificil de suplir y donde será más sentida su pérdida.
Pienso que aparte de la consistencia que deba tener el producto que se intenta vender en política, resulta igualmente importante sino más en algunas ocasiones, la calidad humana del vendedor. Su forma de vivir, es la mejor manera de presentar la sociedad a la que invita a formar parte. Definitivamente, aun cuando se tratase de una ideología distante a las que apruebo y suelo adherir, estoy más dispuesto a creer en el buen desarrollo de una propuesta si parte de quienes son capaces de enfrentarse a la intolerancia, al inmovilismo o al miedo, mediante la persuasión, intentando convencer antes que vencer, poniendo en práctica una paciencia que sólo puede ser sostenida con importantes dosis de convicción y con nutrientes propios de la honestidad.
Obviar la muerte de un digno rival y en su lugar colocar una nota sobre un partido de beisbol que Cuba ganó a Puerto Rico en Haarlem, los resultados de un enésimo pleno del Partido Comunista, y algún anacronismo engañoso más por el estilo, no habla de la calidad del despreciado, sino de la del ofensor.

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17 junio 2012 7 17 /06 /junio /2012 21:09

 

 

Por estos días cuando se cumplen ochenta y cuatro años del nacimiento de Ernesto Guevara de la Serna en Rosario, me enteré que sale un libro echando algo de luz sobre su pensamiento crítico con el marxismo ortodoxo y sus dogmatismos, sus observaciones agudas nada condescendientes que le agenciaron más de un problema con los poderes soviéticos y cubanos, además de diversos apuntes sobre obras de filosofía que hizo a lo largo de su vida.  Mi  sorpresa fue enorme cuando supe que la compilación de dichos escritos la publicaron justamente los verdugos de ese modo crítico de  pensar del Che y completamente prohibido por el establishment de entonces, el mismo de hoy pero con otro collar. Los detractores de su coraje y de su visión discordante con el poder de entonces son quienes hoy lo adulan y se prestan como altavoz de sus acotaciones, cuando ya parece ser un poco tarde, por Ernesto obviamente, pero también por Cuba, con una desfachatez, un escaso apego por el pudor tal, que casi da vergüenza ajena, un camión de pundonor no sería suficiente para aprovisionar la cantidad básica a estos espíritus.

El trabajo no hace referencia a las más que múltiples manifestaciones de profundos enfados y desencuentros con los impositores de estas ideas, y aunque no hace mención  de modo especial a los inconvenientes que ello le acarreó con la dirección del Partido de los Soviets y por consiguiente con la propia dirección de la Revolución cubana (una cosa es coquetear con el cambio y otra bien diferente es hacer una verdadera autocrítica), si que permite  diversas interpretaciones en ese sentido. 

Más allá  de utilizarlo para comenzar su andadura hacia las excusas a que asistiremos por parte de quienes ostentaron el poder estas décadas  y la exoneración de la imagen para una eventual sociedad pos dictatorial, los motivos oficiales parecen pasar por intentar un acercamiento al marxismo crítico, ahora que Cuba lo precisa más que nunca según dice su compiladora y para encarnar tal tarea nada mejor que el espiritu de Guevara que fue la dialéctica misma, el anti enmohecimiento y hermetismo de cualquier teoría, la encarnación del cambio, del aporte; pero sobre todo el coraje para hacerlo cuando se precisaba más allá de lo afín que se pueda estar con sus ideas.

Este libro y el esclarecimiento de las mentes de sus precursores parecen haber llegado con un poco de retraso.

Dificilmante se pueda encontrar a alguien en toda la isla no ligado de algún modo al gobierno ni al Partido,  que muestre algún tipo de interés por la continuación del modelo socioeconomico impuesto por la Revolución, es tal el rechazo a la jerga politica, que la gente por no escuchar el sufijo "ismo" recibido en estos años en dosis desporporcionadas, no desea siquiera oir la palabra capitalismo.

Resulta asombroso que entre los que apadrinan este trabajo se encuentre Armando Hart, tantos años ministro de Cultura, quien escribió “Cambiar las reglas del juego” donde  se esboza una adulación obsecuente del espíritu de una frase de Fidel que fue adoptada como dogma respecto del arte y la cultura, a saber: “Dentro de la Revolución todo; fuera de la Revolución nada,” con la que se justificó la genuina manera de entender la revolución cultural cubana, con su amplísimo espectro de  prohibiciones, censuras  purgas y podas, en la cual de las primeras cosas que se prohibió y con muchísimo rigor, fue la obra de León Trotsky propuesta precisamente en este trabajo de el Che, como ejemplo de lo que Cuba debería publicar desobedeciendo los rígidos dictámenes del PCUS.

¿ Recibirán las correspondientes excusas todas aquellas personas que dentro de Cuba tuvieron el desafortunado arrojo de apoyar las ínfulas rebeldes e independientes del inconforme Ernesto y que fueron defenestradas, o como se decía eufemística y coloquialmente “tronadas” por osar llevar la contra a las indicaciones de las máximas instancias?.

Todo puede ser, y nunca es demasiado tarde para hacerse con una cuota de razón,  está bien incluso cuando la adopción de esta es lo más acorde con los tiempos y resulta altamente recomendable para permanecer sobre la cresta de la ola.

Pero hacerse con un ramo de dignidad es algo muy diferente, a ello no se accede por medio de la conveniencia.

No daba crédito cuando vi quienes publicaban el trabajo, porque creo que era un trabajo necesario, pero que lo debían protagonizar quienes siempre creyeron en esas posiciones criticas, quienes defendían que la obsecuencia con la dirigencia del PCUS era la perdición de la Revolución, por quienes defendían el debate, la polémica y la innovación, no justamente sus detractores, de ellos espero que defiendan sus posiciones herméticas, cerradas, que continuen justificando el servilismo y la opacidad.

Pero claro, si pretendiese asistir a la defensa de los valores y los criterios que respaldaron durante medio siglo quienes se creían eternos, si  esperase verlos caer abrazando sus convicciones, mejor sería que fuese reservando cómodos asientos con refrescos y palomitas de maíz, en cualquier sala más o menos clásica de cine de barrio donde proyecten alguna de "cowboys".

 

 

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19 mayo 2012 6 19 /05 /mayo /2012 00:14

 

Casi todos los que estaban en las inmediaciones hacían cola para tomarse un helado en Coopelia. Enormes filas humanas. Las bocas de despacho donde se veía poca gente de pie eran de venta en dólares y ahí solo se atendía a extranjeros.

 - ¡Párense ahí!- gritó uno de los policías mientras descendía raudo del patrullero por el lado del acompañante.  Mientras el otro apagaba el motor y salía para cortarles el avance a los dos muchachos, llegó un miliciano algo sofocado por el paso aligerado señalando a los chicos  - Sí esos mismos son, esos dos pájaros-  mientras el miliciano decía esto se iba formando un grupo de curiosos,  los últimos de la cola, que dada la distancia tan abrumadora que los separaba de la dependienta que despachaba los helados, no se hacían demasiado problema en abandonar el puesto.

- ¿ Qué hacían detrás de esos arbustos, ustedes son gansos?- les inquirió quien había bajado primero, más a modo de acusación que de pregunta ya que ni siquiera les permitió responder- Vamos, monten en el carro, vamos a la Unidad.

Uno de los jóvenes obedeció presto la orden y sin chistar entró al patrullero, el otro comenzó a pedir explicaciones en voz alta de por qué los detenían. El policía le espetó que se lo llevaban por desviados y sin mediar otra explicación le aplicó una sonora bofetada en el rostro, le torció el brazo y lo empujó con la ayuda de la rodilla al lado de su amigo.

Nadie de los que miraba dijo nada.

Cada tarde cuando caía el sol, se podía ver una escena similar en Coopelia, algunos estaban dispuestos a purgar flagelandose con el inclemente suplicio de esperar horas por sus bolas de helados; otros como los ácratas, rockeros, friquis y afeminados que utilizaban la manzana de la heladería para darse cita, terminaban purgando en los calabozos de las comisarías.

Unos años antes, entre 1965 y 1968,  siguiendo una política del Gobierno, se enviaba a los homosexuales a campos de trabajo, bajo el precepto de que el rigor los haría hombres, los callos y las vicisitudes del trabajo los endurecerían y entrarían en cintura , en al menos uno de los pilares fundamentales de cualquier hombre como es debido, en su vertiente de guapo o revolucionario: ser viril;  la otra era ser temerario, de esa se podría dar fe más tarde, en Africa.

En mi edificio en el barrio de El Vedado, un vecino  ex oficial del MININT, se jactaba de haber dirigido uno de esos destacamentos de sarazas, según sus palabras animadas por el ron de las tardes sabatinas y el habitual coro de obsecuentes aduladores,  él los ponía al sereno  durante toda la noche, atados a un árbol morada  de  las pequeñas hormigas rojas, para sacudirles el amaneramiento.

Había muchos poetas – decía- como Guillén y  Lorca. La identificación de la orientración de género con las convicciones ideológicas  o morales  formaban un tanden, que no difería demasiado del de la iglesia católica. Para ellos no cabía esperar virtud revolucionaria de quien abandonaba de manera tan pueril su masculinidad tras el apetito de su imprecisa naturaleza, y esa fascinación propia de las sociedades y las instituciones  homofobas hacia las significantes de la sodomización,  que se ponía de relieve con una reacción siempre virulenta al fenomeno cuando se muestra explícito y  la  consiguiente obsesión  por mantenerse distante de cualquier confusión,  llevaron a las autoridades culturales, como consecuencia de sus propias parafilias  a practicar una férrea censura incluso a artistas de la talla  universal de Lezama Lima.

El hombre de mi edificio hablaba nada menos que de los tristemente celebres campos de la UMAP donde llevaron a más de 25000 jóvenes. La idea fue de las FAR, organismo militar que dirigía entonces y hasta su investidura como presidente de Cuba, el general Raúl Castro , quien expresó estas palabras acerca de la utilidad de la UMAP: “primer grupo de compañeros que han ido a formar parte de las UMAP se incluyeron algunos jóvenes que no habían tenido la mejor conducta ante la vida, jóvenes que por la mala formación e influencia del medio habían tomado una senda equivocada ante la sociedad y han sido incorporados con el fin de ayudarlos para que puedan encontrar un camino acertado que les permita incorporarse a la sociedad plenamente”. Entre esos jóvenes la mayoría eran desertores del ejército por una limitación religiosa, o no aptos para las FAR por afeminados y curiosamente hoy del linaje de aquellos mismos homófobos, emerge  la posición representante y defensora de los derechos del movimiento de gays,  lesbianas y transexuales cubanos, como colofón a una obra bufa con el más macabro y maquiavélico de los humores posibles.

Sin hacer el más mínimo “Mea culpa”, sin haber condenado ni enérgica ni tibiamente la crueldad de las políticas segregacionistas de sus antecesores, a la sazón, su propio padre, sin solicitar responsabilidad alguna, Mariela Castro se eleva como  la voz de los excluidos y represaliados por su elección del objeto sexual.

 Mariela planea presentarse en una conferencia en San Francisco , ciudad de luchas por los derechos de la autogestión de la identidad sexual, y no cabría reparar en el parentesco de la invitada con los autores de tantas políticas represivas, si hubiese hecho un esfuerzo por desligarse del círculo de poder de sus progenitores, pero distante de eso, cuando tuvo recientemente  la oportunidad de mostrarse solidaria con la bloguera Yoani Sánchez, quien sí es un ejemplo de tesón y perseverancia en la lucha por la libertad, y portadora de un valor fuera de los usual, la desautorizó públicamente, tratándola con la misma jerga despectiva y autoritaria con la que sus ascendientes en jerarquía y sangre suelen  insultar a quienes consideran inferiores o amenazantes.

Hoy que a la hija de Raúl se le extiende un visado para visitar la ciudad  de los desviados,  de los drogadictos, de los hippies, en el país de los gusanos y de los imperialistas, no sobraría la sugerencia de  que se manifestase contraria a toda forma de represión y de discriminación de las personas, por sus creencias, ideas o inclinaciones.

 O acaso la dinastía esté pensando en renovarse, y a lo de su reciente acercamiento a la Fe católica, deseen sumar la representatividad de la contracultura contestataria. Las ventanas de palacio saben abrirse a tiempo para dejar entrar las fragancias matinales.

Pero al ex oficial del MININT de mi edificio de El Vedado no hay manera de reciclarlo, ni de devolverles los años y la dignidad a aquellos muchachos sorprendidos en una caricia por un miliciano y dos policías, entre las colas interminables de Coopelia para degustar  la fresa y  el chocolate de la copa helada en la caída del Sol.

 

 

Fresa y chocolate

Fresa y chocolate

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30 marzo 2012 5 30 /03 /marzo /2012 14:27

 

 

 

Petar salió por la puerta delantera  de la tienda con una bolsa en cada mano.  Chucho lo esperaba en la acera de enfrente y comenzaron a caminar en la misma dirección con la avenida mediante. El búlgaro cruzó la calle y pasó frente al museo Napoleónico y en la facultad de Filosofía Chucho lo estaba esperando bajo la sombra de un framboyán, le preguntó si había podido comprar todo, Petar asintió y le dio las bolsas, Chucho miró hacia los lados y luego metió  la mano en el bolsillo , antes de que la extrajese salieron de detrás de los arbustos dos hombres vestidos de civil que se abalanzaron de inmediato sobre él y lo redujeron, mientras que al búlgaro le pidieron con modales más atenuados que permaneciese en el mismo sitio.

Súbitamente llegaron dos hombres más, uniformados de policías, y después de intercambiar algunas directrices procedieron a  llevarse a los dos muchachos y a las dos bolsas de compras a la comisaría de Zapata y C.

A las dos horas salió por la escalera de la puerta principal  hacia la calle, el ciudadano búlgaro que vivía en La Habana porque el padre estaba destinado como técnico extranjero en la isla. Chucho no salió.

 Al menos no a la calle. A los seis días fue expelido rumbo a la prisión del combinado del Este, donde esperó juicio  durante seis meses por posesión ilegal  de divisas. Al final pasó cuatro años preso, se le sumó a la posesión de divisas, el comercio ilegal de ropa.

Cuando llevaba dos años de escarnios, soportando una vida que no estaba hecha para su delicadeza, regida por verdaderos delincuentes que no dudaban en clavar todos y cada uno de sus objetos puntiagudos en lo que se terciase, el gobierno del Partido anunció que entraba en vigor la nueva ley que despenalizaba la posesión de divisas para los cubanos. E incluso se les permitiría entrar a comprar en las tiendas para turistas , las que de hecho vivían de las compras ilegales ya que los turistas solían arribar a Cuba con su cupo de blue jeans cubiertos, eran poco frecuentes los que visitaban la isla para retornar a sus países con suvenires como  ventiladores, tocadiscos, camisetas de brillo o chancletas color fucsia refulgente en cantidades generosas.

A Chucho ni le avisaron los guardias mientras lavaba los calzoncillos de uno de los guapos de la galera en que estaba, ni cuando acudió esa tarde a la enfermería a curar el agujero que le habían ocasionado en su nalga derecha  con una chaveta por no dejarse abusar los primeros días por un grupo de violadores.

Se enteró por los rumores.

Entonces esperó feliz a su abogado con el cual tenía visita en breve, para preguntarle cuando saldría de aquel agujero al que había entrado solo por querer vender unos camisetas y unos vaqueros  entre los vecinos para ganarse unos pesos y de paso mantener contento al vecindario, pero casi le da el mismo  soponcio que le dio el caluroso día en que el Juez dicto la sentencia de cuatro años de prisión, el abogado le dijo que la ley no era con carácter retroactivo, le comunicó que debía cumplir los años que le quedaban. 

Esa noche Chucho se hizo un tajo en su muñeca perpendicular en sentido de las venas, lo que le impidió morir,  a partir de entonces debería ir a curarse otro agujero más a la enfermería, pero la oquedad  que le infligieron en su vida no había enfermero, médico ni brujo que lograse alivianarlo.

Al ver como se desdice de la teoría de la evolución, del comunismo científico, del ostracismo a los religiosos practicantes y a los que no fuesen estrictamente marxistas, al mismo dictador que sostenía aquella ley caprichosa por la cual fueron presos muchos cubanos que querían lucir un pantalón diferente de la estética soviética o china, el que de la noche a la mañana cambió su propia ley , despenalizando y beatificando los dólares para sus amigos dirigentes, no solo sin indemnizar a los damnificados como Chucho sino sin liberarlos con indultos o amnistías y ni siquiera hacer un mea culpa admitiendo la extrema crueldad de aquella disposición caprichosa, además de ocasionarme arcadas por lo inasimilable e inasumible de su actitud en materia de vergüenza y decoro,  reclamo que ese ser dé cuentas públicamente, ya no solo por el dolor causado sino por la evidencia de que estos caprichos eran producto de una falta total de escrúpulos para mantenerse en el poder, prueba de que en dicha crueldad no concurría ni siquiera la convicción del malvado en el mal, sino la del oportunista en la ocasión.

Al no ser feligrés, desconozco que pretende la iglesia Católica poseedora de un hegemónico poder milenario al simpatizar con un régimen que ostenta un poder sensiblemente  menor y  en decadencia, pero que paradójicamente aún despierta simpatías entre los desposeídos por una suerte de perverso proselitismo.

Pero pienso que de una vez y por todas debemos manifestarnos sin ambages,  sin dobleces , sin discursos por duplicado, sin medias tintas, y decir que una dictadura es una aberración aunque se disfrace de angelical, de solidaria, de paternalista.

No se la defiende, no se la apaña, no se la justifica, solo cabe condenarla o ser su cómplice. 

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28 marzo 2012 3 28 /03 /marzo /2012 23:11

 

 

 

 Dos amigos que aún no se conocían y no obstante se querían, se encuentran bajo la copa de una Palma Real.

_Tenía que haberte conocido antes, que cachondo eres. Y dime un poco, el machismo como lo llevan ustedes?.

_ Nada, igual que tú decimos que todas las personas somos iguales , pero aquí solo mandan hombres, perdón, un hombre: Yo.

_ Qué bueno , igual que yo. Y que bien se lo han montado ustedes durante dos mil años para no dejar escapar ni un gramo de oro, ni un ápice de poder, ¿no?, está bueno eso de llamarnos adalides de la paz después de haber sembrado tanta destrucción. Siempre hay idiotas dispuestos a creernos ,¿no es cierto?.

_ Claro, tú si que eres un bromista. Adalides de la paz, eso está bueno, y lo mejor es cuando decimos que somos los abanderados de los pobres, ( Risas)

_ ( Risas profusas)

_Eso de los pobres nosotros lo venimos diciendo desde hace milenios y yo no sé si recuerdo haber visto uno cuando pequeño.

_ Igual que yo , el hijo de alguna criada, bueno, no nos pasemos, todos esos gandules que se apelotonan para vernos cada vez que salimos a decir lo primero que se nos ocurre, esos son pobres, la verdad es que muy pobres.

_ Tienes razón. Que cachondo eres, toda la vida quise ser como tú.

_ Anda, que tipo tan original! Y yo como ustedes.  Es verdad que yo empecé antes que tú, pero mi estirpe recién se instala conmigo, en cambio ustedes llevan todo el tiempo que quieran, como me gustaría que dentro de dos mil años mis partidarios se elijiesen entre ellos, todos vestidos como yo, de verde y con barba. O con chándal.

_ Ahora no estás de verde ni de chándal.

_ Es que ahora estoy de católico, tú sabes yo soy marxista de Groucho Marx, mi dicho es: ¡ Estos son mis principios; y si no le parecen bien no se preocupe, tengo otros!.  

( Estridentes carcajadas de ambos)

_ Es verdad que tienes esa costumbre de cambiar a cada rato de vereda, que si ortodoxo, que si martiano, que si peronista, que si demócrata, que si marxista, que si guerrillero, que si dictador estalinista, que si religioso, que si guevarista, que si maoísta, que si europeísta, que si Juan Pablista, que si ecologista, que si internacionalista intervencionista militar primero y luego que si pacifista, que si chavista y ahora papista otra vez, ¿ cómo  es posible? ¡ has sido más cosas que Dios!, y es verdad que aunque parezca que cambias mucho no cambias nada, siempre el mismo  bribón ahí atornillado al sillón, ¿es para distraer?, es una táctica brillante, ¿ me la podrías enseñar?. Aunque yo no la podría usar yo tengo que ser siempre igual, prohibir los preservativos , sin importar que mueran millones de SIDA, negar el aborto y condenar a las niñas abusadas, ocultar la pedofilia de los colegas, pero eso sí:  condenar la homosexualidad. Aunque tú con lo de la homosexualidad me ganaste, hiciste campos de concentración para ellos, las UMAP que personaje! ¡Teníamos que habernos conocido antes!.

_ Pero ¿ alguna vez te has creído algo de lo que has dicho?

_ No hombre, no. Vamos a ver, un cura y un revolucionario comunista tal vez si que tengan diferencias, pero ¿ tú yo ?, por favor amigo, nosotros somos la misma cosa, somos los que coordinamos, los que cortamos el pastel.

_ Bueno, la verdad es que de ti debía haber aprendido como es eso de ser siempre igual y conservar el poder, de no cambiar de cuento, de hadas ni de príncipes, no sabes la cantidad de amenazas que me tengo que inventar a cada rato para tener a la gilada belicosa.

_ Bueno, no es mérito mío es una larga tradición, en cambio tu medio siglo, renuente a abandonar la vida, en eso somos iguales, tú todo el tiempo hablando del valor en la lucha de Patria O Muerte, de la batalla, y al final usas quinientas personas como guardaespaldas, y te haces traer hasta una eminencia de España para no morir. Como nos gusta la vida, no hay nada como estar en el sillón ¿no?.  Y yo igual, todo el día hablando del más allá pero no me quiero ir de esta ni loco, se está demasiado a gustito aquí, no sabes como, y donde vivo, es una auténtica delicia. Tu casa será grande pero la mía, llena de arte de todos los maestros, enorme, valorada en más del dinero que existe hoy, con lo que tengo yo comerían veinte planetas como este, todo el mundo durante la eternidad. Ay amigo, lo único que  a veces me da un poquito de cosa es que si Jesús existiese, por más misericordioso que fuese nos colgaba del árbol más alto. Pero al menos me queda el consuelo de que los gustos que nos damos son de record Guiness.

_ No te hagas ilusiones, es verdad que tu casa vale más que la mía,  puede que yo no tenga un Miguel Angel pintado en el techo, pero mi casa es más grande, y tengo más sirvientes, toda esta isla es mía y sus habitante son mis peones  torres y alfiles y mi hermano es la Dama; a los caballos me los cargué a todos, es que ¿ sabes? se mueven en el tablero de manera muy peligrosa!

_ Cuanta razón tienes, nosotros  a cada rato hacemos lo mismo, hasta en el papado lo hemos tenido que hacer, con eso te lo digo todo!.Bueno, venga ese abrazo caribeño, tú, tú, tú sí que eres bueno.

_Nada, viejo lobo de mar como tú no hay nadie, y de gustitos picantes mejor ni hablamos, es que somos la Hostia!

_ Para la próxima nos contamos nuestras historias de milicianas y monaguillos.

 

_ Ojalá mi querido, la verdad es que te admiro mucho , pero ya sabes, cada vez me dura menos la convicción del momento, el año que viene vaya a saber en que andaré, con reyes, con marajás, con Gurúes o quizás si se tercia, hasta con Dioses.

_ ¡ Hereje!

_ ¡ Blasfemo!

_¡ Ese abrazo!

Y se fundieron el uno con el otro como una unidad, para siempre jamás.

 Palabra de honor de viejos escorpiones.

 

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20 marzo 2012 2 20 /03 /marzo /2012 20:27

 

 

 

 

El surtidor se detuvo repentinamente y el empleado nos dijo que lo sentía pero que nuestro crédito no llegaba a más, habíamos alcanzado el límite que le estaba permitido al padre de mi amiga, entonces le propuse que si le echaba diez litros más le pagaba por encima con dos dólares. Trato cerrado. Fue a buscar un latón un embudo y una manguera y nos terminó de echar lo que habíamos acordado.

Manejé hasta su casa y la dejé con el Lada. Teníamos que devolverlo con algo de gasolina en el tanque si queríamos volver a usarlo otra vez.

Me despedí y fui a sentarme en la parada de la guagua que me llevaría a casa. Me sentía bien, había pasado una semana en Varadero soltando toda la adrenalina que me sobraba, el festival era lo de menos, aunque  había estado muy divertido, pero lo que me recargaba las pilas era el buceo y nadar en aquellas aguas turquesas de temperatura perfecta y luego salir a aquella arena a dejar que los bichos de la imaginación hiciesen su trabajo mientras me secaba al sol. La guagua demoraba  mucho, así que me dispuse a caminar unas seis cuadras donde se tomaban otras dos además de aquella, el problema era que llevaba el petate al hombro, no contenía mucha ropa pero sí un cinturón de plomos  y las patas de rana, que incomodaban un poco al andar.

En el camino encontré abierta la cafetería que me temía estuviese cerrada. No había casi nada como de costumbre, así que me pedí una línea de ron y me senté en la barra.  Dada la cercanía y el volumen de la misma no tuve otra alternativa que  escuchar la conversación de los parroquianos vecinos, pero en La Habana lo indiscreto era mostrarse discreto así que giré mi banqueta al grupo y sonreí. De a poco la sonrisa se me empezó a desdibujar.

Estaban comentando una noticia fresca, que más que una noticia era un trascendido a modo de rumorología como se comunicaba en La habana lo que olía a verdadero, que iba por fuera del Granma y el Juventud Rebelde, en otras palabras: todo, con excepción de la fecha y la meteorología. Incluso las noticias  ya publicadas rubricadas y aceptadas por la población como ciertas, se refrendaban en los discutideros y mentideros de la calle, con volumen de voz más o menos alto según el tenor de la información. Decían que iban a echar al cantante de salsa Oscar de León de la isla. Que las autoridades le habían recomendado no ponerse el tremendo crucifijo de oro en el cuello, en la actuación del festival de Varadero que esperaban fuese todo lo multitudinaria que de hecho fue, y se lo puso. Yo no daba crédito a lo que oía, habían ido grupos  de rock como los húngaros Lokomotiv LTG a tocar y yo los había visto en el teatro Karl Marx con crucifijos,  dicen que también lo llevaba Billy Joel, pero a ese concierto solo pudieron acudir militantes del Partido y de la juventud comunista, ni un solo elemento humano que se pudiese considerar auténtico público.

Y es verdad que no tenía en mente muchos más ejemplos de personas que pudiesen manifestar su religiosidad a través de las indulgencias , de los elementos fetiches de las mismas, pero creía recordar que todos me contaban que cuando bajaron de la Sierra Maestra muchos rebeldes lucían en sus pechos al aire sendos crucifijos, incluyendo al mismo Fidel.

Lo cierto es que  aunque yo no asistí a ese recital ya que no me apasionaba la música de Oscar de León, lo había visto a él en el lobby del  Hotel Internacional y sí que no pude dejar de mirar la cruz de oro que llevaba en el pescuezo, era verdaderamente llamativa  y de un gusto que lnvitaba a dudar si no habría sido ese el verdadero motivo de su expulsión. Pero les pregunté que como sabían que lo habían expulsado , les dije que yo venía de allí, y que aunque se hubiese acabado hacía tres días el festival , nadie comentaba nada en las calles ni en los bares sobre esa noticia. Me dijo uno de los tres que se lo había comentado un  periodista en la UPEC hacía un par de horas, que él había ido a buscar a su novia trabaja allí y escuchó el comentario.

Pasaron los días y supe que a Oscar de León no lo habían echado de Cuba, aunque quizás sí habían estado algo molestos con él, ya que lo  cierto fue que no lo dejaron volver otra vez, y la versión semi oficial, o sea la que no salió en los periódicos pero sí se podía repetir por la calle sin problemas, era que a su llegada a Miami lo presionaron sus sponsors para que hablase mal de Cuba y así lo hizo.  Yo me preguntaba como podía ser que si sabían que lo habían presionado lo culpasen de algo tan habitual como era hablar mal de lo que estaba mal. Aunque esto no validaba por sí la inmediata versión underground del trío noticioso, les otorgaba el beneficio de la duda.

A lo largo de los doce años que viví en la isla si bien no estaba perseguida penalmente la práctica de la religión o sus ritos, con  excepción de los testigos de Jehová y los Abacuá o el ñañiguismo que eran derivadas de las creencias africanas con deidades del panteón Yoruba, sí es verdad que a nadie que no tuviese ochenta años y por ende atesorase el deseo de alguna clase de futuro, se le ocurría colgarse una cruz , ni veinte veces más pequeña y de metales menos nobles que la del cantante de salsa. Las iglesias eran solo visitadas en las misas dominicales por ancianas o feligreses que  por alguna otra causa, ya estaban muy jugados y no temían una nueva mancha en el expediente.

No iba preso quien acudiese a un centro de culto, pero se debía olvidar de ascender el más mínimo escalón en su profesión, de salir del escueto salario de 98 pesos, por supuesto olvidarse de tener la posibilidad de viajar algún día, de tener acceso a un automóvil, a una moto , a un aire acondicionado, ni siquiera a cenas en restaurantes que se daban por los CDR o por los centros de trabajo. No debía albergar el más mínimo anhelo de que se lo tuviese en cuenta para los beneficios, y encima cada vez que había algún hecho que se consideraba atentado a la Revolución, y se precisaba un sospechoso desafecto del sistema, los agentes del MININT no dudaban en hacerle la visita de rigor, solo para tener una conversación informal.

En fin, hace mucho no vivo en la isla. Y me dicen que las cosas están cambiando, y algunas cambiaron hace muchos años, como cuando el anterior Papa polaco anticomunista visitó la isla recibido con pompas del Estado.

Dicen que esta visita Papal que se avecina unirá a todos los cubanos, pero que tendrá  como fin darle un tiempo más de vida al régimen, amigar poderes que nunca debieron estar enemistados, ya que nadie, puede estar medio siglo gobernando un país , excepto un Papa, un dictador o un rey. Me cuentan que Cuba ha cambiado que ahora se puede hablar, que el Obispo sale por la televisión y que se transmite en Miami.

 Mientras, otros amigos me cuentan que la gasolina sigue estando regulada  para cubanos, como todo en la vida cotidiana y si la quieren deben pagar por fuera algunas divisas, como antes, solo que ahora con Euros y con  bastante más que dos. Estos me cuentan que en esencia nada ha cambiado, que los desafectos son más pero  continúan yendo a prisión, que siguen los mismos en los mismos sillones, y que aunque hoy te permitan ser católico, incluso parece ser promovido el deseo institucional de que así sea,  me confirmaron que los religiosos aún son los que no viajan, los que no ascienden en el empleo, los que no mandan. En fin, que puedo seguir encontrando la información fiable en las caladeros de charlatanes y chismosos de la ciudad, más que en la prensa oficial,  y dicen que en el Granma  ya solo queda de noticia fiable el estado del tiempo.

  Porque escamotean hasta la fecha, no hay esfuerzo ya que las autoridades no estén dispuestas a hacer para detener la llegada del mañana.

 

 

 

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