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24 enero 2020 5 24 /01 /enero /2020 19:58

En general, la gente no sabe lo que puede llegar a oler un ascensor repleto de rusos de la era soviética en el trópico. Incluso sin estar repleto, con uno o dos rusos dentro.

Los cubanos sabían lo que olía un ruso en una guagua atestada, tanto que cada vez qu subía uno o una, un vijero tomaba la batuta de dirección y vociferaba por encima de las cabezas de los viajeros apretados como sardinas en lata

-Caballero denle nariz a eso que está fuerte- o- ¡Chófer abre la puerta que os vamos a asfixiar!- inspiraciones improvisadas, que como en los cines, era respondida con sonoras carcajadas, siendo el ruso el único que no entendía ni reía de nada, pero también a quien menos le importaba el particular aroma caucásico que desprendían sus axilas.

La historia no nace en Cuba, viene de lejos, pero claro, en los calores habaneros aquello se multiplica por varias unidades. Dadas ls duras condiciones climatológicas y geográficas de la que era nuestra nueva madre Patria, y sobre todo antes de la revolución de octubre de 1917, los rusos se aseguraban un protección estomacal con cantidades generosas de grasa y cebolla, y de esta manera cualquier lapso de hambre se atravesaba con menores penurias generadas por los jugos gástricos, aparte de que protegía mucho mejor del frío extremo de los inviernos rusos. Esto lo aderezaban con generosas dosis de vodka, y con la reutilización cotidiana de las prendas de vestir sin ser pasadas por los prestidigitadores agua y jabón, cosa improbable en medio de temperaturas que congelan hasta el gas.

El ruso luchó contra las inclemencias más duras del planeta y venció a casi todas, incluido Hitler y Bonaparte, pero nunca pudo conseguir entender como prioridad, el discurrir del agua no potable en los largos meses de invierno, con la única finalidad de asearse.

En la era moderna, los soviéticos, todos ya tenían agua corriente y caliente saliendo de un grifo en sus casas, departamentos y dachas, pero las vejas costumbres se agarran como el tío jocoso a la botella de vino. Hoy, tras la caída del comunismo, como acompañando a los cambios políticos, nadie ama más el jabón y los perfumes que las moscovitas.

Los soviéticos, aunque en menor medida y no ya por necesidad, sino por tradición, siguieron comiendo cebolla, grasa, y no lavando las camisas en los interminables veranos habaneros, con la periodicidad que todos sus vecinos adorarían. Incluso quienes llevaban un tiempo prudente viviendo en la isla y que hablaban español y entendían los chistes de la guagua, lo tomaban, pienso, como algo identitario, algo que les precedía, que los anunciaba a la distancia.

-¡Ñó, caballero, entró un bolo!

 
Mazinger: la Embajada Soviética en Miramar

Mazinger: la Embajada Soviética en Miramar

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21 enero 2020 2 21 /01 /enero /2020 19:29


A proposito della dura realtà spagnola sulla questione corruzione, in strada ho sentito un commento al volo dove s’invocava a mo’ di soluzione risolutiva la figura del più grande rettile della Storia latinoamericana:
Fidel “Guarapo” Castro Ruz.
Senza dubbio il personaggio più abile nell’utilizzare successi e difficoltà di persone, comunità, etnie, Paesi, sensibilità in beneficio del proprio tornaconto personale: inchiodarsi al potere.
Utilizzò assolutamente tutti e tutto ciò che aveva intorno. Il primo di tutti fu suo padre Angel, uno spagnolo immigrato nella parte orientale di Cuba di cui unica cultura e predisposizione era arricchirsi a botta di corruzione e sfruttamento dei guajiros (contadini al soldo dei ricchi latifondisti), quindi Guarapo machista Fidel utilizzò le contadine povere della sua fattoria portandosele a letto a gratis, in quegli anni tuttavia erano semi-schiave; il fratello minore da mettere nel suo progetto, più tardi all'Avana; i comitati studenteschi ed universitari democratici, i loro leaders Echevarría e Chibás, in seguito tutti coloro che accettarono di assaltare sotto il suo comando la Caserma Moncada e che morirono coraggiosamente mentre lui e suo fratello Raul ne uscirono vivi senza nemmeno un graffio e scarcerati dopo solamente un anno e mezzo pur avendo ammazzato dei soldati dell'esercito.
Quindi Mirta Díaz Balart, la sua prima moglie milionaria e tutta la famiglia Balart; e tutta la borghesia cubana per raccogliere fondi. Piu tardi, utilizzò i cubani esiliati o emigrati a Miami, le star di Hollywood, Camilo Cienfuegos, Frank País, Huber Matos, Carlos Franqui, Lázaro Peña, Blas Roca, sua cognata Wilma Espin e la sua famiglia, borghesi di Santiago di Cuba. Mio zio Ernesto Guevara che dalla Sierra Maestra gli mandava a dire che se erano comunisti bisognava dichiararlo apertamente e Guarapo gli rispondeva di no, che bisognava essere intelligenti e continuare con il rosario e la croce appesa al collo già che il popolo credeva in Dio e si poteva ingannarlo facilmente per raggiungere il grande obbiettivo. L’obbiettivo era impadronirsi di Cuba.
Utilizzò il Ché, lo ingannò sempre, gli diceva che appoggiava la sua idea di industrializzare il Paese pur sapendo che la monocoltura avrebbe continuato ad essere l’asse portante dell’economia cubana; gli ordinò di farsi carico dell’esecuzioni [7.101 condannati in processi sommari e fucilati], di recarsi all’ONU per far sapere tramite la sua bocca, già che lui giammai osò dirlo, che a Cuba si fucilava e si sarebbe continuato a fucilare; lo utilizzò per stabilire migliori relazioni con i Paesi stranieri, il Ché parlava bene francese ed era molto determinato e ben educato per quell’incombenza; lo mandò a tre importanti viaggi di rappresentanza in giro per il Mondo ma quando si rese conto che il Ché diffidava dell’URSS, del suo compromesso rivoluzionario con il resto del mondo, cominciò a cospirare agli ordini del PCUS per toglierselo di mezzo, ci provò in due occasioni, la terza fu quella fatale, lo liquidò mandandolo dove sapeva che nessuno lo avrebbe appoggiato per poi abbandonarlo definitivamente nel momento in cui aveva più bisogno di aiuto.
Utilizzò i rappresentanti africani, a Salvador Allende il cileno, a Perón l’argentino chiese in prestito, all'epoca, un milione di dollari in locomotive Fiat, auto Chevrolet Chevy da utilizzare come taxi, Dodge per la polizia, FIAT 125 e Renault, oltre a macchine per fare il pane e materiali per l'industria che mai nemmeno tentò di restituire.
Utilizzò la URSS ogni giorno ed ogni minuto per le sue aspirazioni e le sue velleità di imperatore della Grande Rivoluzione. Utilizzò Mella, Villena, Guiteras, a Massimo Gomez, a Maceo ed ovviamente a José Martí per addossargli la colpa del lavoro volontario e della sordida Scuola nei campi e le sordide borse di studio, esperimenti che fecero a pezzi l’adolescente cubano.
Utilizzò Trudeau, Barbara Walters, Hemingway, García Márquez, Francis For Coppola, Caamaño, Velasco Alvarado, il Messico e la sua amabilità con Cuba, utilizzò Angola, Etiopia e il Mozambico per arricchire le sue posizioni militari. Utilizzò Granada, Nicaragua, il Salvador, utilizzò il Guatemala ed ogni popolo insanguinato dell’America Latina.
Utilizzò il colpo di Stato cileno, utilizzò l’Argentina come nessuno mai; sostenne Jorge Rafael Videla, il più efferato repressore dei militanti di sinistra della Latinoamerica, perché l’ URSS gli intimò di mantenere la bocca chiusa sulla violazione sistematica dei Diritti Umani nel Paese già che questi gli vendeva il grano a Mosca in un periodo in cui altre nazioni non osavano sfidare il blocco stabilito dagli Stati Uniti.
Fidel Guarapo Castro Ruz tradì la sinistra al punto da dare l’ordine di votare in Svizzera contro una commissione che indagava sulla violazione dei Diritti Umani in Argentina mentre trentamila militanti, tra i quali anche soldati dello stesso Fidel Guarapo, venivano fatti scomparire, e bisogna dirlo che tutta quell’armata superba della decada degli anni “70 la iniziò e appoggiò lui stesso, per poi appoggiarne la sua morte e la sua tortura mettendo a tacere i crimini di Videla commessi nei confronti del popolo del suo tradito amico Ernesto Guevara.
Riutilizzò la dittatura dell’estrema destra argentina in occasione della Guerra delle Malvinas, Guarapo Castro si mostrò solidale con Leopoldo Fortunato Gualtieri, uno dei più grandi assassini di bambini e donne dell’Esercito argentino, e con Nicanor Costa Méndez famoso per aver detto non siamo neri latinoamericani, siamo europei civilizzati, offrendogli tutto il sangue cubano di cui avesse bisogno. Lo stesso sangue che non utilizzò per salvare il Ché e né altri prigionieri politici.
Fidel utilizzò Gianni Minà, Tad Szulc, a Oliver Stone, a Frey Betto, a María Schriver, a Errol Flynn, a Ava Gardner, a Mandela, a Bem Bella, a Mengistu Haille Mariam, a Zamora Machel, a Agontinho Neto, a Dos Santos, a Mao, a Pham Van Don, a Francisco Franco con il quale non ruppe mai i rapporti, visitò anche la casa del suo sfruttatore e misogino padre in Galizia accompagnato dall’unico ministro franchista in democrazia Manuel Fraga con chi si trovò benissimo e a suo agio giocando a dominò, bevendo e mangiando abbondantemente durante tutta una settimana come sono soliti fare due che si riconoscono intimamente come identici.
Fidel utilizzò le famiglie delle sue vittime, a volte trattandole eccezionalmente bene per essere perdonato o assolto nella critica e nell’affetto interno, comprando volontà con case, automobili, privilegi, è il caso della famiglia Guevara e di molte altre. E lo ottenne con molti di loro che mentono come porci selvatici ogni volta che dichiarano qualcosa alla Stampa straniera o viaggiano per ottenere benefici e pagamenti per l’obbedienza dovuta, ripetendo come automi che a Cuba tutti vivono bene in ugual misura, che c’è giustizia, che c’è libertà, mantenendo in questo modo i loro miseri privilegi.
Fidel Guarapo Castro utilizzò i suoi fratelli, incluso suo fratello maggiore Ramón per ottenere un’esemplare di mucca superlativa in latte, battezzata da Fidel in persona, non da suo fratello Ramón che l’aveva ottenuta, con il nome di “Ubre Blanca” che al comandante inflessibile servì per farsi propaganda a livello mondiale visto che era una mucca che produceva 120 litri di latte al giorno mungendola mattina e sera.
Utilizzò i palestinesi e gli ebrei, utilizzò Arafat e a Rabin, bandì le religioni e baciò la mano di tre Papi, il più anti comunista, il neo nazi ed il neo socialista, ma la cosa curiosa è che quando baciò l'anticomunista lui si professava comunista, quando baciò il filo nazista lui era filo Chavez, e quando baciò il socialista aveva già abbandonato la fede nel socialismo.
Quando cadde la possibilità di diventare Imperatore della Grande Rivoluzione Latinoamericana com’era nelle sue ambizioni, dal momento in cui crollò l’URSS, cominciò a propagandarsi nientemeno che in qualità di “pacifista”, “ecologico”, religioso, era lo stesso uomo che tradì il Ché in Bolivia affinché l’ URSS continuasse producendo armi nucleari senza per questo essere criticati da nessuno, fu quello che invase quanti più Paesi poteva e appoggiò qualsiasi avventura di guerriglia che potesse dargli credito una volta terminata e presentarsi quindi trionfante senza nessuna vergogna davanti al mondo come pacifista.
Ed in mezzo a quel pacifismo ricordò d’improvviso le sue origini gesuite e commissiona al frate domenicano brasiliano Frei Betto di scrivere il libro “Fidel e la religione”, senza mai smettere di reprimere tutti i religiosi di qualsiasi credo sul territorio nazionale sino agli anni “90, quando la carenza era tale che obbligò stabilire priorità per la repressione delle forze di polizia e quelle militari, e di spionaggio ideologico.
Utilizzò la repressione più brutale contro gay, lesbiche, Trans, contro giovani che rifiutavano sottomettersi ai miliziani, contro gli hippie, i rocchettari, contro i giovani ribelli, edonisti, irredenti, pacifici, abusò di loro in maniera vile, crudele, molti sono stati ammazzati. E poi utilizzò l’immagine di John Lennon, ovviamente dopo morto, lui, che mandò in carcere qualsiasi, secondo i suoi parametri, “effemminato con chitarra in spalla” che ascoltava John Lennon.
Poi apparì di nuovo il sogno imperialista per mano di Hugo Chavez ed il bolivarianismo sostenuto con fiumi di petrolio.
Cuba era stata la fidanzata di Spagna quando era il padrone del mondo, in seguito lo fu dell’ EEUU quando diventò il padrone del mondo, poi dell’URSS, un fidanzato tosco e rude ma potente, d’improvviso si è vista prostituirsi ad un plebeo come Venezuela, però pieno di petrolio fresco.
Utilizzò l’assassinio di grandi e leali suoi soldati per evitare la sua propria vergogna. Tradì il Generale Ochoa, a Tony e a Vicente de La Guardia nella maniera più meschina e vile che si possa immaginare.
Fidel Guarapo Castro continuò a utilizzare tutto il suo popolo, celebrava i suoi compleanni in grande mentre i suoi compagni di lotta lo guardavano con quei grandi occhi gonfi per i morti ammazzati ed il tradimento dagli anni “40 sino al nuovo millennio, utilizzò il bambino Elián ed il suo dolore, utilizzò gli emigranti del Mariel, utilizzò i prigionieri politici, utilizzò come nessuno mai il blocco economico, o legge Helms Burton, solamente a lui andava bene l’incremento delle ostilità da parte degli Stati Uniti contro Cuba, per presentarsi come Davide contro il gigante Golia mantenendo il suo popolo unito tra slogan semplici, facili ma molto efficaci nell’unire un popolo contro l’aggressione del nemico straniero.
Fidel s’infuriava ogni volta che vinceva le elezioni un presidente nordamericano democratico già che non gli rendeva la cosa facile, Kennedy, Carter, Clinton, Obama non servivano al suo vittimismo, lui sciorinava tutto il suo incanto anti imperialista e felicità quando salivano al potere Nixon, Ford, Reagan, o i Bush.
Alla fine della sua vita utilizzò il sangue, il sudore, il sacrificio dei cubani affamati per vivere come un re, consumando giornalmente vini da 200 dollari la bottiglia, e farsi allungare la vita sino all’inverosimile, compromettendo medici di tutto il mondo, fatta eccezione per la sua decantata medicina cubana, terrorizzato di fronte all’approssimarsi della morte vai a sapere sotto quali dei tanti inquietanti ricordi criminali e tradimenti, morte la quale tanto aveva invocato, secondo lui, quando sarebbe venuto a mancare il “socialismo” e tuttavia dalla quale rifuggì vivendo circondato sempre da guardie del corpo.
Fidel utilizzò il sangue ed il dolore intenso di migliaia di cubani, la prigionia di decine di migliaia di cubani, l’esilio e la morte di milioni di cubani, utilizzò la libertà, la repressione, la vita e aspirazioni di tutto il popolo cubano nella sua interezza.
Questo infame mascalzone ha lasciato Cuba e tutta l’America Latina senza una goccia di sangue rivoluzionario, ha lasciato il popolo cubano senza una goccia di dignità ed orgoglio facendolo sentire spazzatura di fronte a qualsiasi visitante straniero, per quanto borghese, capitalista, o analfabeta e insignificante questi fosse, sempre e quando atterrasse sulla “terra più bella che giammai occhio umano abbia visto” con un pugno di miserabili dollari.
Attenzione a questi tiranni, commettere l’errore di cadere ammaliati dal loro canto di sirene vuol dire il sequestro di un’eternità nel potere senza salvare nemmeno una virtù.

 

Traducción a la divina lengua de la Divina Comedia.
 por mi quierida amiga Anna Assenza

Il rettile impostore Fidel “Guarapo” Castro Ruz
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6 enero 2020 1 06 /01 /enero /2020 16:08

Veamos que nos han traído los reyes magos.

En el terreno más próximo, se están representando las dos Españas casi de manera calcada a la última trágica ocasión, pero en paz, esperemos que nunca llegue el agua roja al río y continúe siendo una catarsis de la confrontación de la modernidad con estructuras de pensamiento instaladas desde muy temprano en el hipotálamo y difíciles de remover sin un estallido, sin un ruido, sin un desplante. Que Sánchez consiga hacer un gobierno estable y humanista, de uniones y consensos que apunten al progreso social y económico, más que una secuela de riñas, que Cataluña encuentre su identidad definitiva en el mapa de la realidad, con todos sus componentes, pero sobre todo cada catalán, alejado de este torrente de energía intestinal que aglutina un crisol muy diverso de sentimientos de ambos lados de la valla.

En Reino Unido ganó nuevamente Boris Johnson con mayor fuerza; manipular a la masa es un fresco común y ordinario de cuando los pueblos ceden su libertad como individuos y se recuestan en la ficción colectiva, fácil para el manipulador y cantamañanas que se lo propone, ya sea de derechas, de izquierdas o de medio lado. 
Cosa que indefectiblemente siempre termina fatal para los manipulados satisfechos de controversia y consumo de bilis. 

Ahora bien, ojo, ello no implica que Inglaterra vaya a encontrar demasiados obstáculos para reinventarse, para metabolizar su nueva ilusión, es precisamente el tipo de retos en que obtiene lo mejor de su carácter decidido, aventurero y original. Los irlandeses del Norte galeses y escoceses como siempre se quejarán pero luego irán detrás de esos logros pavoneándose de ser británicos.
Esperemos que en esos retos y cambios no abandonen sus históricas conquistas sociales, que ya destruyó en su mitad la Tory Margaret.

En Argentina asumió un nuevo gabinete de gobierno, equilibrado, preparado, conocedor de la situación nacional desde meses atrás, y tuvo lugar el primer traspaso de un gobierno no peronista en tiempo y buenas formas, sin mediar algaradas ni saqueos.

Un gobierno que comenzó por ratificar e incluso reforzar las medidas del anterior ejecutivo en cuanto al acceso a las divisas, a las medidas de recortes de las clases trabajadoras y medias con el fin de hacer frente al pago de la deuda externa; cosa que sólo puede hacer un gobierno peronista en Argentina sin la mínima oposición de los sindicatos y los movimientos sociales.
Los mismos que hasta un mes atrás vociferaban que el país padecía una hambruna generalizada que estaba diezmando a su población como si de una peste medieval se tratase, hoy la hacen desaparecer de un día para otro por arte de magia, y ya ni hay muertes, ni la hipérbole "hambruna", sino que se reemplaza por el eufemismo "insuficiencia alimentaria" , ya no es hambre, ahora el problema es que comen más harina y serán más petisos en un futuro, como Agüero y Messi.

Y todo el enrome y perfectamente estructurado aparato de propaganda del caos, que otrora fuese de la oposición, se transformó en un apoyo a la profundización de medidas de recortes a jubilados, aceptando que la gravedad de la situación económica permite medio año de ajustes para recién entonces, empezar a aplicar las promesas electorales.

Pero lejos de lamentar esto, lo cierto es que tomó a los suyos con el pie cambado al trote y ante la confusión sólo se oye el apoyo decidido a tales medias por parte del FMI, de la gran patronal y paradójicamente del macrismo. Lo cierto es que ninguna de las diatribas y dislates característicos del ámbito proselitista se podrían aplicar sin causar un desastre económico absoluto, habida cuenta que hoy Argentina ni cuenta con el grano al precio del año 1945 ni con la soja al precio de la década del dos mil. En este sentido Fernández tiene claro que si la finalidad es crecer, sólo se puede obtener con hechos y no pocos sacrificios. Y como siempre los sacrificios se les exigen a los que menos tienen. 

El gobierno de Tronal Gump lleva a EEUU a volver a asesinar fuera de casa intentado propiciar un clima favorable a cualquier tipo de conflicto armado, que como cada cierto tiempo, de salida al stock del mercado armamentístico y permita una producción a gran escala, amén de generar el apoyo al presidente en torno a ls clásicas consignas patrioteras del menos esmerado vuelo.

En Cuba todo igual o como de costumbre: peor.

Cosas vederes Sancho.

Inglaterra se reinventa

Inglaterra se reinventa

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2 diciembre 2019 1 02 /12 /diciembre /2019 21:37

Cuando Crouch era un chaval le encantaba templar con casadas cuyos maridos de la edad que él tiene ahora, ya no les daban todo el alpiste que ellas deseaban picotear.

También es cultural, en Cuba o Francia esperan mucho menos que en España o Polonia para dotar de cornamenta al displicente cónyuge, pero tarde o temprano, ya sea en la carne o en el pensamiento, son más quienes resbalan que quienes aún sin demasiado entusiasmo, consiguen pisar el freno.

Era óptimo para todos, a Crouch le permitía agenciarse una buena cuota de placer sin compromisos, ellas no tenían que dejar al reno, sus comodidades y  costumbres, y el astado sentía el placer de disipar toda esa presión de los silencios incómodos que con sólo una mirada llamaban a retumbar en las paredes del cráneo, en la oquedad de la consciencia un eco como un grito en la penumbra "ya no me satisfaces" "ya no te gusto" "ya no me gustas", margaritas al viento ¿me quiere no me quiere? además de licenciar sus escapadas.

Todos ganaban, hasta el gato y el perrito recibían raciones extras y los hijos el doble de golosinas para mitigar la culpa. 

Pero la culpa de ninguno desaparecía, es que en realidad no había culpa alguna. La vida es como es, y se lleva como mejor se pueda.

Crouch confesó que siente hoy ningún orgullo por el "pata de lana" que fue, pero el rol que no soportaría en modo alguno es el del buey. En algunos países a los bueyes los nombran "Palomo" para que entiendan su nombre mientras aran. Y dada la edad en que va entrando, aunque fuese multimillonario, comprensivo, viril, enérgico, saludable, gracioso y dotado, de los dos papeles, indiscutiblemente el más cercano es el de Palomo, a raíz de esto Crouch es terminante: se comparte, se baila, se quimba, incluso se desayuna, pero antes que el sol torture la cortinas, cuando los bueyes comienzan a arar el surco, cada uno a su techo. 
Pero sin huir por la ventana con el cinturón atascándose en un cardo del jardín y la camisa puesta de sombrero, como cuando era el advenedizo pata 'e lana.

 

 

 

Crouch "El pata 'e lana"
Crouch "El pata 'e lana"

Crouch "El pata 'e lana"

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16 noviembre 2019 6 16 /11 /noviembre /2019 16:27

 

 

Cuba se engalana hoy para festejar los 500 años de la mudanza y el establecimiento en la zona norte, al lado del río Almendares, de la  Villa de San Cristóbal de La Habana fundada en 1515. 

Se estima que a la llegada de Cristóbal Colón a Baracoa, había en toda la isla conocida hoy como Cuba, unos trescientos mil aborígenes, entre siboney y tainos , que fueron casi de inmediato esclavizados para realizar trabajos pesados de búsqueda de oro en los ríos, y construcción de fuertes y viviendas, los cuales dada su forma de sociedad recolectora, cazadora, y pescadora no pudieron resistir los rigores de la esclavitud, del trabajo, de la tristeza y las enfermedades llevadas por los españoles, quedando unos cuatro mil  en 1555 y muriendo casi todos antes de finalizar el siglo XVII, pudiéndose encontrar un pequeño reducto de población con rasgos de los antiguos aborígenes, aún hoy en la parte más Oriental de la isla, precisamente allí donde Colón y los hermanos Pinzón pusieron sus poco aseados pies por primera vez.

Esta semana, se ha vuelto una vez más a dejar con las asentaderas al aire a muchos de sus más leales seguidores de los últimos tiempos provenientes de la cantera boliviriana, desde el desaparecido Chávez, su seguidor Maduro, Correa, el muy actual Morales, AMLO en su reclamo de arrepentimiento a la Metrópoli conquistadora, y Cristina Fernández que llegó a remover la estatua de Colón que daba nombre al paseo que comienza detrás de la Casa Rosada y reemplazarla por una de Juana Azurduy.

 El gobierno ha decidido abandonar la línea oficial mantenida a lo largo de los primeros cincuenta años de la Revolución, y salir a festejar el holocausto de los pueblos originarios de Cuba y la esclavización de más de dos millones de africanos bajo la atenta mirada y vigilancia colonizadora de Sus Majestades Borbónicas arribados directamente desde la Metrópoli. Si el siglo XX fue un cambalache ¿Qué queda para el XXI?

Más allá de esta interpretación poco ordenada pero nada desacertada, lo cierto es que en efecto, la Revolución, que en otras épocas de manera natural sentía inclinación a rememorar los padecimientos de los oprimidos y reivindicar su emancipación, hoy, también de manera innata, se inclina a venerar el poder y el dinero, tras décadas de asentamiento de grandes empresas capitalistas tratadas como a intocables, pero en el sentido inverso a la casta mas baja de la India. La primigenia cultura y sensibilidad revolucionaria, equivocada o no, ha desaparecido de la faz de la isla como sus habitantes originarios, incluso para representar el necesario panegírico de cara a su público de afuera y de su hastiado y desorientado público interno.

Luego de asistir al bochornoso espectáculo de Guarapo besando las manos de los tres últimos papas tras haber estigmatizado a todas ls religiones y después de esta reverencia a La Corona  ¿Será el próximo paso celebrar  el establecimiento de la Enmienda Platt de 1899 hasta 1902, tras la ocupación de los Estados Unidos?  ¿Podría ser Tronal Gump el próximo invitado de honor? 

Felipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbón y Grecia, hoy Felipe VI de España, no sólo fue a conmemorar el aniversario de una gran y lucrativa colonia para la Corona, en aquellos años no de los Borbones pero que sí supieron heredar y engrandecer hasta más allá de los limites del crepúsculo y el ocaso, sino que fue a atar bien los cabos de los pinches negocios de los grandes capitales españoles invertidos en la isla, que ya vienen haciendo voluminosas cosechas y las muchos más jugosas que se avecinan gracias a esta nueva casta desprovista ya, de todo pudor y disimulo que aunque fuese a regañadientes, mortificaba la conciencia de los autores materiales del “Gran Engaño”

A partir de hoy, cuando un niño en la escuela deba calificar la barbarie contra los indígenas deberá tener un cuidado exquisito, deberá ser un cirujano de las palabras, de los significados y significantes, no vaya a ser que insulte a la Corona y sus Adelantados y ello le cueste una visita permanente del G2 a sus tutores, una vez encarcelados sus padres por una reciclada acepción de la ya legendaria acusación  revolucionario-inquisitorial, bautizada como  “Diversionismo ideológico” .

Su Majestad festeja el 500 aniversario de la colonización de La Habana
Su Majestad festeja el 500 aniversario de la colonización de La Habana

Su Majestad festeja el 500 aniversario de la colonización de La Habana

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16 noviembre 2019 6 16 /11 /noviembre /2019 02:10

Hablemos claro

A los argentinos de izquierda y de derecha, los bolivianos les importan mucho menos que un pepino.
Y hablamos de un pepino duro, sin pulpa, de fuera de temporada.

En Argentina vive alrededor de un millón de bolivianos, toda la vida condenados a vender limones, a fabricar ladrillos y a los sumo a tener una pequeña verdulería, eso sí, viviendo todos en Villas miseria o barrios muy deprimidos, porque ningún porteño, ni de ninguna ciudad o pueblo argentino, de izquierda o de derechas les alquila un departamento en la parte cool de la ciudad. 

Para personal de limpieza sí los usan todos los gobiernos sin distinción de barniz ideológico.

Por ende, si escuchan o leen a un argentino que hoy defiende como si fuese la vida que la actual situación de Bolivia obedece a un golpe de Estado y, lo encuentran súbitamente preocupado por los indígenas, no vayan a creer que les importa un pepino de la calidad que ya comenté, ni siquiera un rábano en las peores condiciones, lo que están defendiendo subrepticiamente es su lado de la grieta, el kirchnerismo. Lo cual es evidente, ya que si fuesen a sentir auténtica pena desde antes de ayer, ya podrían haberla experimentado alguna vez, por los cientos de miles de indígenas bolivianos que mal viven en Argentina desde hace décadas, o por nuestros jujeños, salteños, tucumanos discriminados en l tierra de sus ancestros por descendientes de europeos, de derecha y de izquierda.

Del mismo modo, si escuchan a otro argentino indignado por el escaso apego de Morales a cumplir los términos de su propia Carta Magna, ni por asomo se vayan a imaginar que se trata de un impoluto demócrata, para nada, votaría mil veces al mayor ladrón del orbe con tal de que no fuese kirchnerista, como acaba de quedar patente tras cuatro años de expolio de las riquezas nacionales.

De hecho ni un sólo gobierno, radical, peronista, militar, ha tenido en sus ministerios algún representante colla argentino, el desprecio de parte de todas las sensibilidades ideológicas y partidos políticos a los pueblos originarios, ha sido legendario desde la propia Independencia en el siglo XIX.

En la Argentina de hoy, todo, absolutamente todo, el precio de las facturas, el color de la pintura verde o celeste, el elogio a un artista, periodista o de una carretera recién inaugurada, pasa exclusivamente por la identificación con uno de los dos lados de la grieta.

¿Y los del medio?

Los del medio como siempre están laburando, manteniendo al país para que los demás puedan pulírselo en las polémicas más estériles para unos y lucrativas para otros.

Entre esos del medio está el millón de bolivianos cuyas vidas, excepto cuando son óptimos para usarlos como arma arrojadiza, a nadie le importó nunca un rábano, ni un pepino de los duros.

Un millón de bolivianos en Argentina, las personas más discriminadas históricamente.
Un millón de bolivianos en Argentina, las personas más discriminadas históricamente.

Un millón de bolivianos en Argentina, las personas más discriminadas históricamente.

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8 octubre 2019 2 08 /10 /octubre /2019 22:34

Será el abrazo suspendido, la historia de los dos viejitos judíos rumanos primos hermanos separados por la barbarie a mediados del siglo pasado que se reencontraron tras setenta y cinco años, será porque en esos años mi abuelo Ernesto dentro de su vida de Bon Vivant, hizo espacio para una firme conciencia antifascista. 

 

Será por el abrazo de mis hijos, al despedirme de Alejandro en Canarias y de Martintxo cuando regresamos de las playas de Nha Trang y las motos de Saigón. 

 

Será por el abrazo de mi viejo, a quien quise y extrañé de niño cuando se fue para cumplir con esa maldita y condenada revolución de los cachetes rojos, colillas humeantes y colitas frescas con fécula;  de la que del todo nadie ha regresado ni dejado de esperar.

 

Será porque mi madre me enseñó a querer todo eso más que a la secuencia de exposiciones por segundo que componen la incertidumbre de la vida. 

 

Será por la voz educada y a la vez firme de mi recientemente partida tía Celia, el regalo de su visita año tras año, será porque la vi cuando niño en las navidades y luego tras la atomización, los doce trabajos de Hércules, el exilio, la cárcel, la virtud, la desnudez de la verdad, la volví a ver abrazándo a mi hijo, porque aquellas esquinas sombreadas me dieron la espalda cuando el filo del acero estaba a punto de cortar la fatiga de mis latidos, y me empujaron hacia adelante, perseguido por la obsesión de encontrar aire que produce el asma, para que un día, a la vuelta de otras esquinas templadas por el sol, la charla de los viejos y los besos de los amantes, me esperase una colina de manzanas deseosas de un abrazo mordiscón, y me salpicara la cara un chorro de olas disgregadas por un viento llegado de una dimensión diferente, de las reminiscencias de una experiencia que sólo conocí en sueños acunados en los pasos del camino. Sueños de talco, de grieta, de sed y ampolla.


Será porque en algún tramo del regreso diario puede aguardar un pequeño cofre con la llave de otro cofre aún más pequeño, ínfimo, que al ser abierto desprende caricias, excusas y charlas sosegadas con cada uno de los que se quedaron esperando a quien no pude ser y risotadas con cada uno de los que fui.


¿Por Hildita, por Canek, por Cuba tendida en la alfombra del abismo? o sólo será porque el mundo no ha mejorado más que un pimiento, porque el miedo al miedo nos hace compartir la mueca hostil antes que el gesto de placer, será porque un calabozo detrás de otro, una bomba después de otra, una puñalada, un borbotón de sangre y sesos, las cabezas rodando, el hambre tosiendo polvo de las brasas, la oda a la guerra, el uso de la fuerza para el abuso, nos han enviciado, nos han hecho adictos a tentar los limites de la paciencia del aire, del semen, de los mangos y de la tierra.


No sé por qué, pero este aniversario de la muerte de mi tío Ernesto con su barba rala, el pelo a lo Ivanhoe y Morrison, el olor de la transpiración de animal acorralado en aquella quebrada, pesando la mitad de sus kilogramos, con la mirada más limpia que nunca, extraviada en el horizonte del cielo con un ligero toque de Venere, a sus pies los molinos vencidos y Dulcinea besando su frente, me llega más que nunca, como si al final el asma cumpliese su cometido, como si hubiese aguantado las ganas de vaciar la vejiga hasta llegar a la cima. Un año no es más que una vuelta de nuestra casa alrededor del astro mayor, pero siento como si este aniversario se hubiese desnudado de esos convencionalismos y me tocase el timbre para sentarse en mi mesa, para quedarse en mi cuarto de invitados, al lado del radiador y la cortina verde, y desayunar melocotones y mantequilla discutiendo cafés, mates, jugos, temas calientes y fríos. La fuerza del pequeño cofre.


Y acaso, ya con la barriga llena, la puerta cerrada y la ventana abierta,  preguntarle lo que Atahualpa Yupanqui a su caballo el Alazán, cuando éste agonizaba tras caer barranco abajo entrampado por un lazo de niebla:


¿Qué estrella andabas buscando?


 

Ernesto, de Madrid al cielo.
Ernesto, de Madrid al cielo.

Ernesto, de Madrid al cielo.

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2 octubre 2019 3 02 /10 /octubre /2019 12:12

Un castigo del Consejo de Estado cubano para familiares de "pinchos" me mandó a trabajar al oriente de la isla, porque decían que estaba demasiado regado, para que me enderezase el General Robertico.
No me enderezaba ni un mariscal, pero ¿qué iba a hacer? tenía que ir.
Llegué, me pusieron en una casa de visita en la que me habría quedado hasta hoy, compartía la casa con Iván, un ingeniero que había sido también conducido allí para enderezar su camino, hijo o nieto de un ministro o algo así. Muy bien tipo, durante unos días paseando con su Lada me enseñó la bellezas de Santiago y del Plan turístico Baconao Turquino donde él trabajaba dando rienda libre a su ingenio y ocurrencias. 
Un día me llevaron a conocer a Robertico mientras sostenía un vaso de whisky en una mano me invitaba con la otra. Era buen whisky. 
-Me dijo: ¿En qué te gustaría trabajar? y yo me pregunté ¿qué clase de castigo es este?
- Mira Ponce necesita un buzo, y además del yate Ojo Azul le hemos dado uno nuevo que fue abandonado por una tripulación alemana. Creo que te va a gustar trabajar con él ¿te gusta el mar?
Así fue que conocí a Ponce a toda la familia de buzos y me mudé al Yate Ojo azul con un camarote para mi estrechando la mano de Iván y agradeciéndole su generosa atención.
Mañanas tardes y noches de risas, de banquetes de langosta, jamón, en Cuba el jamón era mas valioso que el vellocino de oro de Jasón, cervezas, rones, más risas, paseos, muy poco trabajo y algo de instrucción.
¿Qué clase de castigo es este? ¿Cuál sería el truco?
Pasaron días de visitar el Cayo Granma, trocha arriba y trocha abajo, disfrutar de los restaurantes de la ciudad para extranjeros y para gente especial como Ponce y todos los castigados, hasta que un día empezó el curso de buzo, yo sólo sabía bucear en apnea. Aprobé los exámenes de la CMAS, sin demasiado rigor ya era buzo instructor de una estrella.
Salimos en la primera campaña a recoger coral negro, esa sería nuestro aporte al Plan que se estaba desarrollando, un orfebre italiano compra a 480 dólares la libra, cerca de mil el kilo. Ahí salieron dos. nuevos tripulantes que no estaban en plantilla hsta el momento de zarpar.
Uno era el maquinista. raza blanca caribeña, bajo, panzón, y sin mucho que hablar.
Una tarde después del buceo matutino, Omar nos llamó -caballero sin hacer ruido asómense en proa y miren para atrás al maquinista que esta meando por la borda-
Era un espectáculo, habría llenado estadios como los Rolling Stones con pantallas gigantes, o teatros como el Cirque du Soleil. 
El maquinista estaba echando un pis al mar, pero no salía de un aparato normal, ni siquiera grande, sino de una manguera de bombero, lo que colgó por la borda escapaba al concepto morronga, poronga, trabuco, cabilla, cuando la sacudió se movió en ondas como una serpiente. Toda la tripulación de buzos estábamos en la proa menos Zarita, la bióloga que era la amante de Ponce, el capitán, y que por razones obvias tenía vedado aquel show. Tampoco es que la usase con frecuencia más que para sacarla a pasear por la borda para recogimiento de cualquier otro osado.

Por la tarde en la hora de las cervezas, el ron, las langostas y el jamón, Zarita dijo “que partida de mariquitas tiene este barco de tripulación” y cada uno intentó dar su excusa desde una óptica varonil basada en un interés antropológico. Pero no funcionaba, aquel día en la proa todos los machos buzos que tocaban las colas de los tiburones,  quedaron anonadados ante la plasticidad de semejante tranca.

Yo me levanté cinco mujeres en lo que él ni una. Pero claro yo declamaba poemas, me peinaba así, daba besos asá, me esmeraba con deleite pero también con dedicación de artista en los cunilingus, cuando decidía presentar ya sin el menor pudor mi herramienta, esta estaba henchida, rozagante venosa, fuera de cualquier riesgo de rubor.

No fue Ponce con sus años de tiroteos ni su búsqueda de camilo Cienfuegos ni la operación Paty Candela, tampoco Omar su sobrino que se creía guapo ni Albertico el mejor buzo de Cuba, el traductor de tiburones, ni siquiera el general Robertico, ni yo que a esa altura había atravesado varias vidas en experiencias, sino el que no hacía chistes, ni era avispado, ni lindo ni feo, ni se preocupaba por vestirse bien, no era culto, sabio, genio ni talentoso, simplemente el maquinista era el más pingudo de todo Santiago de Cuba.

Baconao Park, del Plan Baconao Turquino.

Baconao Park, del Plan Baconao Turquino.

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17 septiembre 2019 2 17 /09 /septiembre /2019 09:17

Un ricordo di Mario Bendetti

Oggi passeggiando, mi è venuto alla mente il ricordo di Benedetti e dei suoi baffi. 
Alamar, le sparute pulci e la sua enorme dignità, appena fuori l’Habana in direzione di Cojìmar, un barrio proletario dell’uomo nuovo. 
Mario Benedetti ha vissuto in esilio a Cuba ma ha chiesto in modo esplicito, conforme alle sue idee e al suo nerbo, che non gli dessero privilegi all’altezza del suo nome. Avrebbe potuto vivere a Parigi, in un dipartimento tipo il Trocadero. Ma lui era così.
Ha vissuto un po’ di tempo a Alamar dunque, una baraccopoli operaia di tipo stalinista, davvero orribile nell’aspetto, in cui non c’è mai stata nessuna attrazione particolare che si ricordi.
Occorre rammentare che a Cuba non è stata costruita una sola cosa in 50 anni utile a promuovere il turismo, ma nemmeno promossa dal governo rivoluzionario. Paradossalmente tutto ciò che il proprio istituto del turismo considera come attraente, è stato fatto prima del 1959.
Beh, Benedetti, il grande poeta, scendeva a piedi le scale dell’edificio di dodici piani dove viveva, sul mezzo del giorno, e andava a comprare con la “libreta”, non con dollari ma con soldi cubani, validi al massimo per piselli, riso, uova e qualche altra cosetta in più, al magazzino della zona 8.
Faceva imperterrito come tutti la sua coda, e poi tornava carico di quel poco che c’era, ma (vuoi mettere?) sotto quel sole di giustizia… 
Aveva addosso terribili pulci più affamate di lui, era un poeta solitario, di grande carattere, della gentilezza convenzionale e affettata non gli era rimasto nulla, e per questo alcuni lo criticavano, perché volevano che, una delle stelle della cultura d’America fosse più cordiale ancora di quanto fosse.

E non bastava che vivesse in Alamar e di lì andasse girando per il territorio imprecisato del Bachiplan, (un polverone biancastro e grigio che s’infilava da tutti gli orifizi fino al midollo) né che essendo uruguaiano, mangiasse ogni morte di Papa una bistecca, o che bevesse mate con quella erba rinsecchita al sole, impegnato a togliersi di dosso quelle fastidiosissime zanzare che non riusciva ad allontanare il ventilatore russo, scrivesse poesie meravigliose da quella baraccopoli operaia. Come Dostoevskij lo faceva dalla prigione in Siberia, anche se il poeta rioplatense per volontà propria, e addirittura senza lamentarsi, ma grato. 
Avrebbero preferito magari che “don Mario” discendesse fino alle catacombe dell’inermità, dove abita l’eco di tutte le codardie umane, la morchia del tedio, della procacità, della grossolanità, il trotto della mandria e il belare del gregge, dell’orrore più sordo che rappresentava quel convenzionalismo di quartiere, con le sue conversazioni banali, quel nulla di quotidiano, quell’omicidio alla poesia.

Era un eterno cospiratore della penna, un uomo coraggioso, elettrico, amante del minimalismo, della lealtà, e anche quando il suo posto in esilio sarebbe stato un prestigioso quartiere di Parigi o di Londra, non si è mai lamentato di quel “sole di giustizia” né di aspettare la sua bistecca trimestrale nella coda infinita del magazzino “agropecuario” né di resistere all’affronto di sentir chiamare “Rivoluzione” quella cosa amorfa e atonale intorno a lui. 
Nemmeno la tortura di ascoltare le preferenze musicali del vicinato lo distoglieva, che con orgoglio si esibiva tremante per la vibrazione degli altoparlanti delle loro radio russe messe al massimo volume, dietro le sottili pareti di quel dipartimento dell’edificio di dodici piani, dove quando se ne andava la luce, Benedetti accendeva una candela, sognava di accompagnarsi ai suoi connazionali detenuti, a quelli che non c’erano più, ai suoi amori, alle foglie cadute di uno degli autunni della sua terra, si chinava sulla carta e scriveva quei meravigliosi versi senza un filo di odio, con quella naturalezza e profondità degli uruguaiani di allora, con il sigillo impegnato di quelle generazioni, versi pieni di ammirazione per la grandezza dello spirito e anche di compassione per l’imbecillità umana, anche per le vittime e carnefici di essa, e di tutto quel nulla abissale quotidiano. 
Martìn Guevara Duarte (Traduzione Alessandro Silvestri)

Don Mario, el petiso gigante.

Don Mario, el petiso gigante.

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10 agosto 2019 6 10 /08 /agosto /2019 10:26

Sicilia bedda
Dal promontorio si vedevano le onde lambire gli scogli, il sole fioco ma austero, nonostante tutto il suo potere chiarificatore, non riusciva a cancellare in me la sensazione, ogni volta che guardavamo in basso, di sovrastare una gola così profonda da arrivare sino al centro della Terra, per questo motivo afferrai la mano di Adriana. A lei girava la testa per le vertigini più che comprensibili e ci aiutammo a vicenda per oltrepassare quella curva dell'impervia stradina, valse la pena prendere quel sentiero per raggiungere il porto di Levanzo dalla Grotta del Genovese, invece di tornare per la via più lunga ma più diritta.
Il paesaggio era ancora più bello dopo aver appreso da un antropologo che ci accompagnava, che in passato quell'isola era collegata alle altre due vicine, Marettimo e Favignana, e tutte e tre alla Sicilia. Qui arrivarono i primi abitanti di Trapani, forse dalla penisola iberica, come suggeriscono le pitture rupestri sulle pareti della grotta del Genovese, di circa ottomila anni, simili a quelle della grotta di Altamira. Molto probabilmente, pensai, quegli abitanti avevano camminato lungo il sentiero sul bordo del precipizio, e forse, uno di loro prese per mano un'Adriana del Neolitico che soffriva di vertigini, gesto come filo conduttore e simbolo della solidarietà tra gli esseri umani di ieri, di oggi e di sempre. Forse si fermarono, probabilmente, coniugando prudenza e timore reverenziale per quel crogiolo di colori che ricade su quel paesaggio meraviglioso per dire addio a quella che in futuro sarebbe stata la punta dove finisce l'Italia, o il suo principio, dipende da quale parte si guardi.
Arrivati al porto, dalle nuvole rigonfie precipitò scrosciante un acquazzone. I camminanti stavano appena iniziando a conoscersi. Appoggiammo i nostri zaini sotto il tetto di un bar e ordinammo caffè, acqua, birra, pizze e arancini, e mi aspettava il gatto più affettuoso che abbia mai incontrato in vita mia. Le fusa di quel felino sul mio collo che soprannominai Pirandello, insieme alle chiacchiere animate, arricchite da sonore battute dall'allegro carattere siciliano dei miei nuovi amici, sono rimaste incastonate nel mio ipotalamo come uno scenario, o meglio, come un tappeto persiano.
Più tardi tornammo a Favignana, due giorni trascorsi conoscendo nuovi posti, persone, e poi a dormire a casa dell'artista plastico MoMó Calascibetta. Un'accoglienza meravigliosa con cena e notte tra racconti e risate, ancora e ancora, e il giorno appresso l'inizio della camminata sull'Antica Trasversale Sicula partendo da Mozia. Un gioiello universale per la concentrazione di Storia, cultura... e zanzare. Da quel momento, quindi, la Sicilia cominciò a entrarmi dentro, le risate cariche di energia e i paesaggi diedero i natali a un flusso affettivo interiore, a un amore per quest'opera intarsiata e dipinta dalle essenze multiculturali generate dai viaggi, dal passare del tempo, la convivenza, il senso dell'humor, dell'onore e di un misterioso equilibrio che si fonde tra una scintilla vulcanica con odori, sapori e colori insostituibili. La dolcezza e la lealtà della sua gente, la bellezza interiore ed esteriore della mia amica Francesca, la profondità e fermezza della mia amica Anna, l'affetto di Tano e Peppe, di Adriana e Maurizio e tanti altri. La forza di Peppino Impastato e la sua famiglia, la pastasciutta alla Norma e al Nero di Seppia.
I Siciliani con la loro spontaneità, per la mia esperienza personale, sono più cugini dei cubani, o di un caraibico molto più bellicoso e millenario, piuttosto che dei romani, dei greci o degli arabi.
Oggi voglio congratularmi con la 5a Edizione di Thrinakia, il Premio Internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche, dedicate alla Sicilia. E voglio essere fedele al mio desiderio di contribuire all'arricchimento intellettuale dell'isola che ho appreso ad amare e a diffonderne i suoi preziosi tesori culturali.
(Traduzione: Anna Assenza)
Martín Guevara Duarte
Luglio 2019 - León, Spagna
Sicilia hermosa
Las olas bañaban la roca, el sol, tenue pero firme, aún con todo su poder clarificador no lograba despejar la sensación de una garganta hacia centro de la Tierra cada vez que mirábamos hacia abajo, razón por la que tomé la mano de Adriana que sintió un mareo fuerte producto de un más que comprensible vértigo y nos ayudamos uno al otro atravesar ese recodo del camino, que hacía que valiese la pena tomar esa senda para llegar al puerto de Levanzo desde la Grotta del Genovese en lugar de regresar por el camino más recto.
El paisaje era más bello aún al haber aprendido hacía minutos, que en el pasado esa isla estaba unida a las otras dos cercanas, Marítimo y a Favignana y las tres a tierra, donde llegaron los primeros habitantes de Trapani posiblemente desde la península ibérica, como sugieren las pinturas rupestres de las paredes de la cueva del Genovés, de unos ocho mil años de antigüedad, del mismo tipo que las de la cueva de Altamira.
De manera que muy probablemente por ese camino al borde del precipicio habían caminado aquellos habitantes, quizás también uno habría tomado la mano de una Adriana del neolítico mareada por el vértigo, como hilo trasmisor de la simbología de solidaridad entre los seres humanos de ayer hoy y siempre, se habrían detenido, mezclando la prudencia con el asombro por el crisol de colores que caía sobre aquellas vistas maravillosas para despedir lo que en el futuro sería el fin de Italia. O según se mire; el principio.
Cuando llegamos al puerto se desprendió de las nubes una fuerte lluvia, los caminantes que recién comenzábamos a conocernos, metimos nuestros “zainos” bajo el techo de un bar y dimos cuenta de café, agua, cerveza y pizzas o arancini, y me esperaba el gato más cariñoso que he encontrado en mi vida. Quedó grabado en mi hipotálamo el ronroneo de aquel felino en mi cuello l que apodé como Pirandello, con la charla animada plagada de chistes sonoros del alegre carácter siciliano de mis nuevos amigos, como telón de fondo, O mejor dicho: como una alfombra persa.
Después regresamos a Favignana, dos días conociendo nuevos lugares, personas, y luego a dormir a casa del artista plástico MoMò Calascibetta, una maravilla de recepción, de cena y de velada, y al día siguiente el comienzo de la Antica Trasversale Sicula, partiendo desde Mozia, una joya universal por la concentración de Historia, cultura… y mosquitos. Desde ese entonces Sicilia se fue introduciendo en mi, las risas cargadas de energía, los paisajes dieron lugar a un cauce de afecto interior, a un cariño a esa obra tallada y pintada con las esencias multiculturales aportadas por los viajes, el paso del tiempo, la convivencia, el sentido del humor, del honor y de una misteriosa templanza fundiendo una chispa volcánica con olores, sabores y colores irreemplazables.
La dulzura y lealtad de su gente, la belleza interior y exterior de mi amiga Francesca, la profundidad y firmeza de mi amiga Anna, el afecto de Tano y Peppe,de Adriana y Maurizio, y tantos otros. La fuerza de Peppino Impastato y su familia, la pasta a la Norma y al Nero di Sepia.
En mi impresión personal, más que romanos, griegos o árabes, los sicilianos y su desenfado los hacían más primos hermanos de los cubanos; aunque de un Caribe varias veces más guerrero y milenario.
Hoy quiero dar mis felicitaciones a la 5a Edizione de Thrinakia, el Premio internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche, dedicate alla Sicilia. Y dejar constancia de mi deseo de que contribuya tanto al enriquecimiento intelectual de la isla que aprendí a querer como a difundir sus preciados tesoros culturales.
Martín Guevara Duarte
Julio 2019 - León, España
Martín Guevara Duarte
Nasce in Argentina nel 1963. Cresce a L'Avana con la sua famiglia, rimanendo nell'isola cubana per dodici anni, mentre suo padre, il fratello minore di Ernesto Che Guevara, pativa il carcere come prigioniero politico della dittatura argentina. Finalmente torna alla terra natia dopo il trionfo della democrazia. Già in tenera età rifletteva sulle sue inquietudini attraverso la scrittura. Viaggia spesso per l'America Latina e l'Europa, svolge parecchi lavori, di solito con case editrici e distributori di libri. Legge i classici europei e segue il ritmo della letteratura americana moderna, impara le lingue in modo autodidatta, scrive poesie, storie, riflessioni che legge a un pubblico attento in incontri letterari. Sempre con un forte ingrediente d'irriverenza verso il Potere e il "politicamente corretto", spesso confinante con la marginalità, tanto nel suo modo di pensare che nel suo modo di vivere.
Si trasferisce in Spagna, dove forma una famiglia; vive tra Madrid e León e inizia a pubblicare articoli su diversi media in Internet, critico feroce dei meccanismi autoritari di qualsiasi modello di società passata, ma specialmente dei totalitarismi del nostro tempo.
Ha scritto un libro intitolato «All'ombra di un mito» sul peso della possente immagine del Che sulla sua persona, e sul resto della famiglia, che lo ha portato a viaggiare in differenti paesi di diversi continenti, dove è stato invitato a dibattiti e conferenze. In Italia ha realizzato un progetto chiamato «Diarios», in collaborazione con l'artista cubano Ascanio, residente a Milano, presentato e premiato a Milano. E nel 2018 esce il suo secondo libro «Triángulo Guevara» che include racconti e articoli su i suoi punti di vista politici in America Latina, in Europa e nella narrativa in generale.
Durante l'ultimo decennio è autore di numerosi articoli nel suo omonimo blog e in diversi media digitali tra i quali ricordiamo Infobae, Cibercuba, Havanatimes, Martinoticias, Misceláneas de Cuba.
Viaggia in Sicilia nel 2018, stimolato dall'influenza della sua amica Anna Assenza, regista indipendente e siciliana, attualmente residente in Costa Rica, amica intima di suo nipote Canek Sanchez Guevara, figlio di Hildita, uno dei suoi cugini preferiti e nipote del famoso mito, che morì alla stessa età di suo nonno e sua madre, nel gennaio del 2015 in Messico.
Invitato dall'Antica Trasversale Sicula, giunge per la prima volta nella meravigliosa isola di Sicilia ed è profondamente colpito dalla sua cultura, dai suoi paesaggi e soprattutto dall'autenticità della sua gente. Da quel momento in poi giura amore eterno e incondizionato verso l'eclettica isola dei Sicani e dei Siculi.
Pirandello

Pirandello

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